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Se il futuro dell’università passa dal lavoro professionale

“La potenza non consiste nel colpire forte e spesso, ma nel colpire giusto”
(Honorè de Balzac)

Il mese scorso è stato convertito in legge il decreto “L’istruzione riparte”, un pacchetto di misure a favore dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, promosso dal Ministro Carrozza. Una misura di cui si è parlato poco e male, con i principali media troppo indaffarati sulle vicende della “politica politicante”, ma che secondo me presenta profili di assoluto interesse e innovazione in una logica che (finalmente) potremmo definire di “inversione di tendenza”.

Al di là delle risorse che, dopo anni, si torna a destinare al mondo dell’istruzione e che il Ministro giustamente rivendica (anche se poi i fondi d’Istituto destinati alle singole scuole sono complessivamente diminuiti…), a me sembra che i profili più interessanti del pacchetto possano essere rinvenuti in alcune misure che cominciano ad avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro, e in altre che iniziano a promuovere in modo massiccio l’uso delle tecnologie nelle aule scolastiche.

Da un lato, quindi, potenziamento dell’orientamento post-scolastico e misure innovative nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro. Dall’altro, fondi per il wireless in aula e il comodato d’uso di libri e strumenti digitali per la didattica. Sia ben chiaro, è solo un primo passo, ma almeno è un passo nella direzione giusta.

Il vero salto di qualità sarebbe quello di trasferire questa logica dal mondo della scuola anche a quello dell’università, e con misure necessariamente molto più incisive. In particolare, sarebbe molto utile far sì che gli studenti universitari possano iniziare i loro percorsi professionali già durante il corso di studi, e non più solo dopo la conquista del titolo di studio.

Se la laurea è per tanti solo il “pezzo di carta”, infatti, è anche, o principalmente, a causa del fatto che tra mondo accademico e mondo delle professioni, tradizionali o innovative, oggi c’è ancora una cesura troppo netta, con i laureati che entrano nel mondo del lavoro sostanzialmente senza sapere nulla di ciò che li aspetta, ovvero con la prospettiva di dover dedicare ancora anni della loro vita a stages, praticantati o esperienze professionalizzanti di vario tipo.

Se l’Italia vuole tornare a essere competere seriamente nell’industria globale dei servizi professionali e nei settori più avanzati dell’innovazione, non può più sprecare anni dei suoi giovani in strumenti di professionalizzazioni ancorati a tempi e strutture novecentesche. Inserire gli studenti nel mondo professionale e lavorativo già durante l’università potrà aiutare il Paese a dotarsi di una nuova classe dirigente più pronta, più professionale, più preparata e, di conseguenza, più competitiva.

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