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Ecco perché Renzi ha poche possibilità per far ripartire l’Italia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Per cercare di individuare un percorso nuovo e credibile di crescita dell’economia italiana occorre partire da alcune considerazione di fondo. In riferimento al debito pubblico, il Fiscal Compact – che si configura come un irrigidimento (costituzionalizzazione) della disciplina di bilancio – si limita a ribadire le regole del Six-pack: i paesi devono ridurre l’eccedenza del rapporto debito/Pil rispetto al 60% a un ritmo medio di 1/20 all’anno.

RAPPORTO DEBITO/PIL

Secondo le ultime rilevazioni Istat, il rapporto debito/Pil italiano nel 2013 ha raggiunto il 132,6%. Si tratta del livello più alto dal 1990, anno di inizio delle serie storiche confrontabili. Nel 2012 il debito era al 127,0% del Pil. Il rapporto deficit/Pil è stato pari al 3,0% nel 2013. Nel 2012 il deficit si era ugualmente attestato al 3,0%. Da quando, nel dicembre 2009, l’Italia è entrata nell’EDP (Procedura per Deficit Eccessivo – Excessive Deficit Procedure), la pressione fiscale ha raggiunto il 45% del Pil in modo da assecondare la prescrizione di ridurre il disavanzo sul Pil dello 0,5% all’anno per scendere sotto il 3% nel 2012. La prescrizione si basava su prospettive di crescita del Pil ottimistiche. Al contrario di quanto previsto, il Pil italiano nei sei anni dal 2008 al 2013 è diminuito dell’8,3%.

Sembra pertanto doveroso chiedersi quale parte di questa diminuzione sia stata determinata dalle politiche di austerità imposte dalla Commissione Europea e dalla BCE, posto che ormai è conclamato che essa sia causa di quel risultato?

CROLLO DEL PIL E PRESSIONE FISCALE

È di tutta evidenza che il crollo del Pil del 2012 è stato alimentato da una crisi fiscale provocata da un eccesso di tassazione, che si è abbattuta soprattutto su imprese e contribuenti a basso reddito.
Senza dimenticare che la pressione fiscale ha conosciuto nel 2013 ulteriori incrementi a partire dai tributi locali. In base ai dati comunicati dalla Corte dei conti, tra il 2009 e il 2012 il gettito del fisco regionale è aumentato in media del 10% all’anno, nonostante la crisi economica fosse nel pieno del suo sviluppo. Si stima che nel 2014 l’addizionale Irpef a favore dei comuni sfonderà ampiamente il tetto dei 4 miliardi di euro, contro i 3,6 miliardi del 2013.

In Italia il cuneo fiscale che interessa i redditi da lavoro dipendente è il più elevato al mondo, dopo il Belgio. Per non parlare dei profili distributivi dell’Irpef o all’Irap, che opera come un’imposta di fabbricazione a carico delle sole imprese nazionali e le discrimina falsando la concorrenza e il mercato.

COSA PREVEDE LA LEGGE DI STABILITÀ

In tempi di risorse scarse un sistema siffatto accentua inevitabilmente gli effetti depressivi indotti dalla crisi e amplifica le conseguenze distorsive sia sull’organizzazione del sistema di produzione sia sulla dimensione delle imprese. È bene ricordare che per i redditi da lavoro dipendente e da pensione, la legge di stabilità per il 2014 ha previsto, accanto ad una modesta riduzione decrescente delle detrazioni, pari a € 17,5 al mese, che si annulla oltre la soglia dei € 35.000, la riduzione delle spese fiscali per oltre € 500 milioni di euro; il che equivale a dire che per un numero imprecisato ma notevole di contribuenti, la manovra comporterà un aumento netto del prelievo. Per gli altri redditi da lavoro, non meno colpiti dalla recessione, non è previsto alcuno sconto, il che evidentemente contrasta con la stessa logica che dovrebbe essere alla base di un’imposta sui redditi, vale a dire la garanzia della parità di trattamento fiscale a parità di reddito.

ADDIZIONALE IRPEF

Altro aspetto che merita attenzione, emerge dall’analisi delle basi imponibili regionali dell’addizionale all’Irpef che oscillano (nel 2011 ) da un minimo di € 19.798 della Basilicata a un massimo di € 26.172 della Lombardia; questo dato è il frutto della trasformazione, a partire dal 2007, della no tax area e della family area, da deduzioni dall’imponibile in detrazioni d’imposta. Questa variazione ha sottoposto alle addizionali regionale e comunale anche quella parte di reddito che in era precedenza sottratta all’imposizione, in quanto ritenuta non espressiva di alcuna capacità contributiva, e destinata ad alimentare i consumi (vedi caduta libera della domanda interna).

MANOVRE FISCALI NON ADEGUATE

Nel loro complesso, tutte le manovre fiscali, che a pioggia si sono susseguite nell’arco della crisi, presentano preoccupanti profili di regressività nonché di incerta costituzionalità. Contrariamente agli annunci che ne hanno accompagnato l’emanazione, improntati a principi di equità e di solidarietà, le manovre varate dai governi, tecnici e politici, hanno comportato un aumento più che proporzionale del prelievo, che si è rivelato particolarmente accentuato proprio nelle aree economicamente svantaggiate del Meridione. Ciò ha causato riflessi immediati sulla dinamica del Pil delle regioni del Sud-Italia, non a caso in recessione senza soluzione di continuità dal 2008.

IRAP

Lo stesso ragionamento può estendersi all’Irap, il cui mancato riordino complessivo, penalizza sotto il profilo distributivo soprattutto i lavoratori autonomi e le imprese minime, fino a cinque dipendenti. Un’imposta i cui effetti negativi per il sistema di imprese e più in generale per l’economia sono semplicemente ignorati, anche se incidono pesantemente e in modo profondamente disuguale sul tax rate delle imprese, non solo manifatturiere; il che basterebbe per evidenziarne l’incompatibilità di fondo con il principio di capacità contributiva. Se a questo si aggiunge che il tax rate sugli utili di impresa sfiora il 66% ed è al primo posto tra i paesi avanzati, mentre il cuneo fiscale sui redditi da lavoro evidenzia una analoga sofferenza dal lato dei redditi delle famiglie, ci si rende conto di quanto la fiscalità incida sulle tendenze di fondo del sistema Italia, non solo sulla competitività nel suo apparato produttivo.

COSTO DEL DEBITO PUBBLICO

Sotto l’aspetto strutturale, si osserva che il costo medio del debito pubblico che nel 2013, con un tasso di 2,08% è tornato ai valori del 2010, pari cioè a 2,10%, con un risparmio di oltre un punto rispetto al 2012, che aveva registrato un costo medio del 3,11%. Tuttavia, il significativo alleggerimento del costo unitario dell’indebitamento, anziché favorire una politica di bilancio tesa a ridurre i costi di funzionamento dell’apparato pubblico, liberando risorse per avviare una politica fiscale di rilancio strutturale della domanda interna, non ha avuto nel 2013 alcun riflesso dal lato della politica tributaria, che ha contribuito ad alimentare un ulteriore calo del Pil (-1,9% contro una previsione di -1%).

EVASIONE E FISCALITÀ SOLIDALE

Fallite le strategie di contrasto all’evasione, le politiche sociali basate sulla fiscalità solidale si sono rivelata una madornale illusione, che ha prodotto accrescimento della spesa pubblica (nonostante i pressanti vincoli europei), disavanzi di bilancio, moltiplicazione degli sprechi e dei privilegi, sperequazione dei redditi e un insostenibile disagio sociale (si guardi ai dati sulla povertà sempre più allarmanti). La priorità è rappresentata da una riforma del sistema di imposizione dei redditi personali e di impresa che liberi le risorse indispensabili a sostenere il percorso di uscita dalla crisi economico-finanziaria. Da tempo sosteniamo che occorra ragionare in termini di unità della finanza pubblica e che sia necessario uno più stretto coordinamento tra le imposte che contribuiscono a realizzare il sistema tributario, secondo gli indirizzi espressi in Costituzione.

Luigi Scipione – Delegato alle politiche fiscali del Comitato di presidenza di Unimpresa

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