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I giudici, la sinistra “etica” e Matteo Renzi

Quindici anni fa il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto per la Congregazione della Fede, decise di aprire agli studiosi gli archivi dell’Inquisizione romana. Fu una scelta coraggiosa e intelligente. Con grande sorpresa di storici, giuristi e teologi, i documenti misero in luce la sostanziale correttezza di un tribunale estremamente duro, ma che sapeva giudicare esercitando anche le virtù della prudenza e dell’equilibrio. Perfino il cardinale Borromeo, che in materia di eretici non era molto tenero, venne più volte bloccato dal Sant’Uffizio.

D’altro canto, è vero che i tribunali inquisitoriali sono stati un modello per le “cacce delle streghe” dei tempi moderni. Purtroppo, certi magistrati di oggi sembrano aver ben imparato la lezione dell’intransigenza, ma non quella dell’equità. Nel caso Ruby, ad esempio, i giudici che hanno condannato Silvio Berlusconi non sono stati capaci o non hanno voluto distinguere tra legalità e moralità.

Non è necessario scomodare Kant per ricordare che la legalità è moralmente neutrale. Infatti, lo Stato di diritto non esige l’integrità morale dei cittadini, ma unicamente la loro lealtà. In questo senso, quando il giudice si sostituisce al confessore e emette sentenze che puniscono non il reato, ma il peccato, il rischio di una potenziale mutazione dello Stato di diritto in Stato etico è assai forte.

Del resto, nel corso del decennio alle nostre spalle abbiamo assistito al tentativo di chiudere la Seconda Repubblica all’insegna del populismo giudiziario, e cioè con le toghe non bocca della legge ma bocca del popolo. Se il tentativo non è stato coronato dal successo, nonostante l’impegno profuso da qualche utile idiota antiberlusconiano (per fede o per vocazione), lo si deve anche alla sconfitta della sinistra “etica” per mano di un leader politico che viene dalla città di Machiavelli. Almeno in questo caso, quindi, diamo a Renzi quel che è di Renzi.

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