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Che cosa si aspettano i moderati dal centrodestra

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra uscita oggi sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Previsioni avverate. Per le elezioni regionali gli aruspici avevano previsto: 1. un crollo massiccio della partecipazione; 2. un forte voto di protesta; 3. il successo nelle due regioni del Pd. Così è stato, ma l’esito deve essere letto in profondità. Occorre capire non solo per chi i cittadini hanno votato o non votato, ma quale messaggio hanno trasmesso.

Il crollo massiccio della partecipazione è dovuto a due cause. Dovunque, nei paesi democratici, calano i votanti, meno nelle elezioni politiche, più in quelle amministrative. Negli Usa hanno partecipato alle elezioni di Obama nel 2008 il 58% e nel 2012 il 49% degli elettori. In Italia, sino agli anni Novanta, alle politiche i votanti superavano il 90%: nel 2013 andò alle urne il 75%. Un dato fisiologico, accentuato dall’emergere di scandali sempre più grossi e disgustosi nei partiti politici, quelli vecchi, di cui le inchieste di “Mani pulite” fecero piazza pulita, e quelli nuovi, nati insieme con la speranza di una “seconda repubblica”. La quale seconda repubblica, purtroppo, quanto a ruberie si mostrò ancor più perfezionata della prima.

Il rifiuto dei partiti si accentuò al punto che solo 5 italiani su cento ne avevano ancora fiducia. Agli innumerevoli e interminabili processi per corruzione e concussione, che li colpirono tutti, si aggiunsero le rivelazioni delle ruberie di molti consiglieri regionali, a destra e a manca, proprio nel momento di una terribile crisi economica e dei conseguenti forti sacrifici per la popolazione. Le elezioni di domenica hanno testimoniato alla grande questa sfiducia: più di sei italiani su dieci non hanno votato.

Della corruzione dei partiti si era giovato l’anno scorso l’antipartito di Grillo. Raggiungendo, nelle politiche del 2013, il 25,56 % dei voti. Domenica il voto di protesta è continuato, ma si è attenuato e dislocato. I grillini, in Emilia-Romagna, hanno ottenuto circa il 13%. Segno evidente che molti “protestanti” non hanno più fiducia nel comico, al quale rimproverano di non aver fatto seguire alla protesta le proposte. Chi ci ha guadagnato è stata la Lega, che portato i suoi voti quasi al 20% e sorpassato di molto Fi.

Pur macchiato dall’assenteismo e dalla protesta, il Pd è il vincitore delle elezioni. In Calabria ha capovolto la situazione, in Emilia l’ha sostanzialmente confermata. La lista di Errani nel 2010 ebbe il 52,1%, quella di Bonaccini il 49. Da solo il Pd è passato dal 40,65 al 44,52. L’assenteismo ha colpito tutti i partiti, ma il Pd percentualmente non è calato.

Voto di protesta, certo, tuttavia, a ben guardare, domenica c’è stata anche una difesa del “vero” partito. Il voto di protesta può, in certi momenti, essere utile. Ma solo per far cambiare l’anima dei partiti, non per cancellarli. Ecco perché il non-partito di Grillo è uno dei perdenti. Gli show, le sceneggiate, gli alterchi e le aggressioni non possono continuare, se non viene anche enunciata e tentata una strategia di recupero, di cui mai l’Italia ha avuto tanto bisogno come oggi. Invece il Protagonista elettronico non solo non l’ha indicata, ma ha perseguitato e cacciato tutti quei suoi seguaci che la chiedevano. L’elettorato gli sta voltando le spalle perché non ha voluto trasformare il M5S in un partito.

E non meno cocente è la sconfitta di Forza Italia. Non solo in Calabria. In Emilia-Romagna aveva il 24,55%, ora si è ridotta all’8,36 ed è stata sorpassata dalla Lega. Una Lega che certo continua ad essere un movimento di protesta, ma con Salvini ha accentuato il suo carattere di partito, non più padano ma italiano, mettendo il silenziatore alla secessione e spingendo l’acceleratore della solidarietà nazionale.

Dunque hanno vinto i due Mattei. L’elettorato di centrosinistra non vuole più un partito di apparati e di ideologie, vuole un partito riformatore, come sono i grandi partiti della sinistra europea. E come lo propone Renzi. E l’elettorato di centrodestra non vuole il partito del Padrone e ancor meno il Padrone del partito. Vuole una destra europea, moderata, concreta e riformista. Quella che per ora è ancora lontana dal modello Salvini, anche se la sua Lega ha fatto qualche passo in quella direzione.

Ciò che unifica le tendenze emerse domenica è la smentita di coloro che prevedevano un rifiuto totale del partito da parte dell’elettorato. Già nel 1949 Adriano Olivetti aveva proposto una “Democrazia senza partiti”. Grillo, che ha ripreso la formula, ci ha dato un movimento del tutto privo di democrazia. L’assenteismo e la protesta di domenica non sono stati un requiem del partito, ma la richiesta di partiti onesti e al servizio del paese. Dato che senza partiti non ci può essere democrazia. Come hanno mostrato tutti i più accorti politologi. Basti Hans Kelsen: «Una democrazia senza partiti è solo una ipocrisia». Partiti, non partitocrazia, come insisteva Sturzo: «Non partiti invadenti, ma che sanno autolimitarsi osservando i limiti che la coscienza pubblica impone».

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