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Cosa fa l’Italia contro i mercanti del terrore Isis

Per gentile concessione dell’autore e dell’editore pubblichiamo un breve estratto dal libro “Chi ha paura non è libero” (Mondadori), scritto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano (CHI C’ERA ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO. FOTO DI PIZZI)

Il materiale propagandistico dell’IS circola in rete con sottotitoli in italiano. Se il Centro Ajnad ha da ultimo prodotto e diffuso il video di un canto jihadista dall’incipit minaccioso («presto, presto rimarrete sorpresi, come un fulmine a ciel sereno vedrete le battaglie sorgere nelle vostre terre»), ancora più attenzione ha suscitato il documento intitolato «lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare»: sessantaquattro pagine di prontuario per aspiranti soldati nostrani del Califfato, apparse alcuni mesi fa sulle piattaforme virtuali dell’estremismo islamico e attribuibili secondo gli inquirenti a Halili el Mahdi, ventenne italo-marocchino residente con la famiglia a lanzo Torinese, arrestato il 25 marzo 2015 dalla Digos di Brescia con l’accusa di «apologia dello Stato islamico e associazione con finalità di terrorismo internazionale», per il quale il Tribunale del riesame ha successivamente disposto gli arresti domiciliari.

Quelle informazioni diffuse sul web, scrive il primo magistrato che ha ordinato il fermo del presunto autore, rappresentano una forma di apologia «subdola e indiretta», perché, decantando i «servizi» resi da uno Stato islamico «più equo e gratificante», risultano «particolarmente efficaci nella prospettiva del reclutamento e dell’adesione di nuovi soggetti alla causa terroristica», a cominciare da giovani musulmani residenti in Italia e alle prese con problemi di «emarginazione sociale».

Non consentiremo ai missionari dell’odio di fare dell’Italia un terreno di coltura del fanatismo. Non permetteremo loro di inoculare il germe della violenza, reclutare giovani, convincerli che sia giusto e doveroso votarsi al martirio e fare la guerra ai crociati. Se Mahmoud Ben Ammar – minorenne italo-tunisino della provincia comasca – è riuscito a sfuggire a un destino atroce rinunciando a partire per la Siria, non permetteremo che altri ragazzi finiscano impigliati nella rete dei procacciatori di morte.

Non c’è spazio, nel nostro Tempio, per i mercanti del terrore. Li stiamo cacciando via; lavoriamo per questo ventiquattr’ore su ventiquattro.

L’opera di prevenzione procede senza sosta. il monitoraggio dei luoghi a rischio di infiltrazione jihadista – sia reali sia virtuali – è costante, come altrettanto capillare si rivela l’attività che in questi mesi ha consentito di radiografare le posizioni di individui sospetti, passando al microscopio ogni segnale che potesse generare dubbi sui loro intendimenti. ho tracciato di recente un bilancio sulle misure adottate e sulle operazioni per la sicurezza contro la minaccia terroristica eseguite sul territorio nazionale, fornendo dettagli e numeri nel corso di una conferenza stampa convocata al ministero dell’interno l’11 settembre, quattordici anni dopo l’attentato alle Torri Gemelle: un anniversario di paura e speranza.

Il nostro paese ha avuto la forza e la capacità di organizzare un sistema di prevenzione che fin qui ha dato i suoi frutti e che si è tradotto in azioni legislative e di intelligence: l’11 settembre rimane, per noi italiani, un giorno di democrazia e libertà.

Dall’inizio del 2015, sono in totale 121 le persone arrestate nell’ambito delle attività di contrasto al terrorismo inter- nazionale (299 dall’11 settembre 2001); oltre 36.000 gli individui sottoposti a controllo da parte delle forze dell’ordine; 400 le perquisizioni domiciliari effettuate.
Dal dicembre 2014, quindi prima dei tragici fatti di Parigi, abbiamo stretto ulteriormente i bulloni del meccanismo delle espulsioni e a oggi 48 stranieri (dal settembre 2001 sono 228, di cui 19 imam), titolari in molti casi di permesso di soggiorno per lunga residenza in Italia, sono stati allontanati dal nostro paese, mandati via perché rappresentavano un possibile pericolo per la sicurezza nazionale. L’elenco è composto da diciassette tunisini, quattordici marocchini, quattro pakistani, tre albanesi, tre kosovari, due egiziani, un turco, un franco-tunisino, un franco-algerino, un macedone e un rumeno.

Ho firmato decreti di espulsione nei confronti di soggetti «indesiderati» finiti sotto la lente di ingrandimento dell’Antiterrorismo, che ne ha documentato il percorso di radicalizzazione, una veloce, crescente e rischiosa identificazione con la causa dei criminali al soldo di al-Baghdadi, di cui venivano esaltati i successi militari e il trattamento inumano riservato ai kuffar (miscredenti); internauti molto attivi nel proselitismo e capaci di stabilire contatti con le filiere del reclutamento in europa, «facilitatori» a disposizione di aspiranti martiri alla ricerca del sentiero per «guadagnare il Jannah», il paradiso islamico, figure obnubilate dall’ideologia estremista, desiderose di unirsi alle milizie del «Califfo» cui avrebbero volentieri sacrificato pure i figli in tenerissima età.

La pubblicazione sui social network di messaggi inneggianti allo Stato islamico e il compiacimento per il massacro nella redazione di «Charlie hebdo» testimoniano l’estremo fervore ideologico-religioso del ventiduenne resim Kastrati, in Italia da sei anni; rispedito in Kosovo il 19 gennaio 2015, si porta appresso anche il sospetto di avere utilizzato i pro- venti di attività illecite per dare ossigeno al fondamentalismo in Siria e nella stessa regione balcanica.
Sulla mia scrivania di ministro dell’Interno è finita la scheda di Khalid Nasrollah, marocchino di ventitré anni residente in provincia di Reggio Calabria, espulso il 13 febbraio per avere condiviso in rete immagini e video sull’utilizzo di armi e sulle tecniche di addestramento delle organizzazioni terroristiche, materiale ricavato dai profili virtuali di altri soggetti appartenenti alla galassia dell’integralismo islamico.

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