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Uber Pop, i taxi e Adam Smith

Francesco Pontelli, economista esperto di marketing strategico e di dinamiche dei mercati, mi scrive: “Caro Ruggeri, Uber Pop alles gut? Risulta evidente come l’innovazione sia inarrestabile, specie se apporta un qualsiasi vantaggio per il consumatore. Quindi in un contesto di crisi economica l’inserimento della App Uber (un nuovo servizio di mobilità che permette di ridurre di circa 1/3 i costi di un tragitto rispetto al normale) ha rappresentato una novità. Aldilà dei benefici immediati per l’utenza occorre valutare anche la tipologia di lavoro e di conseguenza di sviluppo economico che Uber assicurerebbe, non certo al fine di osteggiarla, ma per offrire un quadro economico nel medio termine, effetti collaterali compresi. Uber Pop non investe in beni strumentali, vedasi il contratto mediato dalla srl Raiser Operations. Già questo dimostra l’approccio speculativo, classico dell’economia finanziaria. Raiser Operations serve solo per stipulare i contratti con i drivers, l’autista è un vero e proprio “appaltatore indipendente con patente di guida valida e tutte le licenze. Quindi è l’autista a rispondere in proprio di ogni evenienza e non Uber, che non alloca alcuna propria risorsa finanziaria per investimenti in beni strumentali, tanto meno nella formazione del personale”.

“In questo contesto la convenienza delle tariffe praticate da Uber Pop alla clientela diventa veramente marginale rispetto al margine contributivo per l’azienda stessa. Va inoltre considerato che in contemporanea si procede all’annullamento di una professione come quella del tassista. Questo processo rappresenta solo l’inizio di una serie di job sharing la cui portata verrà compresa quando si toccheranno altre professioni. Ove si instaurerà questa applicazione vivremo due evoluzioni economiche parallele. Primo: un impoverimento di lavoratori che hanno investito un patrimonio in una licenza e in un mezzo. Secondo: un allargamento della base di consumatori che grazie all’integrazione di reddito potranno usufruire di una maggiore disponibilità economica. Infine il consumatore che vedrà le tariffe di trasporto ridotte e se ne compiacerà fino a quando la concorrenza non arriverà al proprio settore professionale. Ma questo processo di riposizionamento non comporta alcuna crescita per l’economia. Ricordo il postulato che recitava “nel marketing se accetti la battaglia del prezzo hai perso in partenza”. Un principio dimenticato da molti economisti che individuano nella sola concorrenza il fattore di sviluppo economico. Bloomberg ha pubblicato uno studio che evidenzia come l’82% dei consumatori statunitensi è favorevole a pagare un prezzo maggiore per un prodotto della filiera nazionale. Una inversione di sensibilità al consumo anche nei servizi. Opporsi all’innovazione tecnologica esprime un atteggiamento anacronistico ma al tempo stesso abbracciarla senza individuare gli scenari nel medio termine rappresenta una miopia imperdonabile”.

Caro Pontelli, apprezzo il suo contributo di studioso su questo tema, mi permetta solo un inciso: noi siamo prima di tutto dei cittadini, poi molto, molto dopo, dei consumatori. Su Uber Pop ho scritto molto, qua mi limito a sottolineare come sia curioso questo modello di business. Uber, proprietaria di una banale App, che fa? Nessun investimento, salvo la lobbying (ho una mezza idea di come tradurla in italiano), impone al driver di pagargli il 20% dei ricavi, se costui accetta posso anche considerarla una idiozia, ma è un rapporto fra privati.

Però, l’attività no, è servizio pubblico. Se uno decide di fare il tassista, se rispetta la legge e le regole sanitarie imposte ai tassisti, se è certificato, se paga le tasse come i tassisti, se il suo conto economico regge al prelievo del 20% di Uber, se accetta i prezzi Uber, nulla da dire: tutto legittimo. Per evitare i trucchi, mi permetto di fare una proposta operativa per il Governo Renzi, visto che pare stia per legiferare.

“Uber trasmette mensilmente all’Agenzia delle entrate i corrispettivi mensili per le corse effettuate (Ricavi). In sede di verifica sarà sufficiente confrontare i corrispettivi dichiarati con quelli incassati, via estratti conto delle carte di credito. Uber farà la sua dichiarazione dei redditi annuale nella quale dichiarerà gli utili conseguiti (corrispettivi mensili già trasmessi all’Agenzia meno i costi sostenuti da dimostrare). Uber pagherà i driver operando una ritenuta d’acconto del 20 % (aliquota vigente, nessun tetto minimo) sul compenso pattuito, così il driver riceverà il 60% della corsa. Ogni anno trasmetterà a ciascun driver la certificazione unica nella quale attesterà il compenso annuale pagato e la ritenuta trattenuta. Come per tutte le altre società farà la Dichiarazione annuale 770 dichiarando i compensi pagati ai driver (identificati con codice fiscale) e le ritenute operate. Ciascuno di loro nella dichiarazione dei redditi riporterà i compensi percepiti sulla base della certificazione unica scomputando le ritenute subite. L’Agenzia farà dei controlli sulle posizioni fiscali dei driver per verificare se ha dichiarato i compensi ricevuti da Uber. Tale verifica è semplice in quanto sulla base del 770 dove sono indicati i codici fiscali di ciascun driver, può controllare se costui ha presentato la dichiarazione e ha inserito quel reddito.

Per equità i tassisti dovrebbero passare al metodo analitico, per esempio installare un’apparecchiatura sull’auto che trasmetta periodicamente i corrispettivi per le corse effettuate all’Agenzia. Il soggetto sarebbe tassato sulla base dei corrispettivi effettivi trasmessi meno i costi sostenuti, quindi il reddito sarebbe non più forfettario ma effettivo. Sempre per equità lo Stato pagherà le vecchie licenze ai tassisti, visto che, in nome del mercato, ne ha azzerato il valore”.

In conclusione, stiamo parlando di un curioso conto economico di un lavoratore autonomo, detto driver: se costui applica i prezzi Uber (il 30% meno degli attuali, allegria!), se pur ricevendo appena il 60% della corsa (20% a Uber, 20% allo Stato), riesce a pagare tutti i costi, assumersi tutte le responsabilità verso i clienti, rispettare le leggi, e ci guadagna pure, costui è da ammirare, non certo da combattere. Continuo a chiedermi, come può questo giochino stare in piedi senza un paio di trucchi fiscal-legislativi? In ogni caso mi rifiuto di credere che Adam Smith farebbe mai il lobbista per Uber Pop.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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