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Brexit, perché (forse) vincerà il Remain

Col senno di poi,  sembra che la scelta della scorsa settimana per un breve stacco si sia rivelata azzeccata, per lo meno sotto il punto di vista del risparmio di energie nervose per il sottoscritto.
Infatti, principalmente a  causa di un’impennata dei consensi per la Brexit, che ha portato il fronte separatista a mostrare un marginale vantaggio sul Remain nei sondaggi, si è osservata una fiammata di tensione sui mercati, culminata giovedi in giornata. Dopodichè, l’efferato omicidio della parlamentare laburista inglese Jo Cox ha fornito il catalyst per un rimbalzo del fronte pro EU, producendo un rientro della volatilità, che stiamo tutt’ora osservando.

Sul fronte referendum UK, non ho modificato la  mia opinione, nonostante lo swing dei sondaggi, e dei mercati. Ritengo che vincerà il remain, sia pure di un margine ristretto, e assegno non più di un 25% di probabilità alla vittoria del leave.
Il principale motivo a supporto della mia tesi è l’avversione al rischio di una popolazione, come quella inglese, che vive in generale una condizione di agiatezza economica, e come tale non dovrebbe essere incline ai salti nel buio, quale una Brexit è, almeno parzialmente.

A mio modo di vedere, una cosa è sbertucciare Cameron, e mandare un messaggio di insoddisfazione all’establishment, dichiarandosi a favore dell’uscita in un ininfluente sondaggio, un’altra è votare l’uscita nel segreto dell’urna.

Visto che i sondaggi restano in equilibrio (45 in  vs 44 out l’ultimo uscito, Survation) e gli indecisi superano in media il 10%, ritengo che la naturale tendenza verso lo status quo si manifesterà nell’urna, permettendo di archiviare la  pratica. La tragedia della  Cox aumenta solo marginalmente la probabilità di questo outcome, mentre il  suo effetto principale sul voto mi  sembra essere stato l’anticipare di qualche giorno un’inversione di tendenza dei sondaggi a favore del remain.

Ovviamente, ricordo bene di aver fatto, l’anno scorso di questi tempi, riflessioni analoghe, che vennero contraddette dai fatti, a proposito del referendum greco. Ma in quell’occasione il quesito referendario era stato posto in modo tale da non costituire una scelta radicale (dentro o fuori),  tant’è che non ha successivamente impedito una composizione delle divergenze. Inoltre la situazione della popolazione greca era assai meno agiata di quella inglese, con una larga parte di individui che non aveva nulla da perdere da un’uscita dall’euro. Infine, la naturale tendenza a preservare lo status quo si è manifestata successivamente, quando il partito al governo, Syriza, ha espulso i membri radicali e negoziato con l’EU la permanenza del paese nel programma.

Detto ciò, la mia è ben lungi dall’essere una certezza, e non ho problemi ad ammettere che la mia analisi può contenere delle falle, tra cui una sottovalutazione della tendenza all’autodeterminazione degli  anglosassoni. Vedremo.

Circa gli effetti di una Brexit, è evidente che, specie dopo il recupero delle ultime ore, la fiammata di volatilità sarà notevole, in particolare su divise (a svantaggio £ e €, e a favore del $ e dello yen) e sui risk asset, europei in primis e globali. L’ECB ha sicuramente in mente un piano di contenimento, le cui prospettive sono però parzialmente tarpate dal deficit di credibilità che hanno, in questo periodo, le politiche di stimolo monetario straordinario attualmente percorribili. Dopodichè, visto che gli effetti del  referendum sono assai differiti nel tempo, è probabile che l’effetto inizialmente scemi, lasciando spazio ad altri temi, alcuni similmente perniciosi (referendum costituzionale italiano). Ma l’incertezza derivante dalla scelta di rottura terrà le banche Centrali, ed in particolare la FED, assai tranquille.

Viceversa, la vittoria dello status quo porterà un certo sollievo, la cui entità nell’immediato è ridotta dalla rapidità con cui il mercato sta ritracciando la debolezza della scorsa settimana. E’ possibile che però il remain porti in dote una Fed meno attendista, anche se i dati (e in particolare il labour market report di giugno) restano gli arbitri di un rialzo a luglio.

Venendo alla giornata odierna, Asia ed Europa sono riuscite a costruire sui robusti progressi di ieri, a dimostrazione che, dopo un’ondata di fifa, gli investitori sono tornati ad attribuire alla Brexit una probabilità inferiore a quella data dai sondaggi, e anche da alcune case di investimento, che si mantengono prudenti (40% su per giù il consenso). Meno arzilla Wall Street, che ieri sera si è mangiata oltre la metà del rimbalzo dopo la chiusura europea, ed anche oggi fatica a staccarsi dalla parità. Ma va detto che la Borsa US ha lasciato sul terreno le briciole rispetto al resto del gruppo, nella fase negativa. Oltre a ciò, è  possibile che la piazza americana sia penalizzata dallo smontamento di numerosi pair trade corto Europa-lungo S&P messi in piedi per giocarsi la Brexit.

L’incombere del referendum UK ha coperto il mediocre risultato delle compagini renziane alle amministrative italiane, con i 5 stelle in grado di stravincere a Roma e sorprendere a Torino, mentre la vittoria di misura di Sala a Milano ha evitato una Caporetto per il premier.
L’esito elettorale sembra in gran parte riflettere l’antagonismo tra elettori di destra e di sinistra, con i primi disposti a votare i 5 Stelle nei ballottaggi pur di ostacolare i candidati sostenuti dai secondi. Un tale effetto implica una sovrastima del consenso del movimento sulla base di questa consultazione. Nondimeno, alcuni analisti hanno sottolineato come il  risultato di domenica complichi il quadro per il referendum costituzionale di ottobre, aumentando significativamente la probabilità di una vittoria del No, con conseguente caduta di Renzi e permanenza dell’ingovernabilità (un problema non indifferente anche per l’Eurozona, vista la rilevanza del nostro paese per l‘area).

Può essere, ma personalmente mi domando che convenienza abbia un partito di opposizione, in odore di diventare di maggioranza, ad affossare un referendum che gli garantirebbe di governare da solo in caso di vittoria alle prossime elezioni politiche. Chissà se se lo chiede anche Grillo.

Sul fronte tecnico, le rotture ribassiste della scorsa settimana in teoria hanno compromesso lo scenario per lo meno in Europa. Ma con il referendum UK in arrivo, non c’è da fidarsi dei segnali tecnici che potrebbero essere sovvertiti facilmente, per cui meglio rimandare l’analisi per lo meno a venerdi.

Detto questo, in tema di argomenti tecnici, è nuovamente interessante una recente analisi di sentimentrader.com, che osserva come il Vix (indice della volatilità implicita nelle opzioni dell’S&P 500) una volta depurato della price action (un calcolo basato sui lavori di David Aronson e John Wolberg,  volto a ottenere una migliore indicazione del sentiment di mercato), mostri un livello di “irrational fear” assai elevato, che recentemente è  stato superato solo ad agosto 2015 e a gennaio febbraio scorsi (vedi grafico sotto).  Dal 1998 in poi il ritorno medio annualizzato seguito a fasi in cui il purified Vix era sopra 3 è del 24,2%, mentre quello seguito a fasi in cui l’indice era a -3 è di -1.8%.

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