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Ecco le ultime capriole di Maurizio Landini su democrazia, primarie e cooptazione

Di Berardo Viola e Fernando Pineda

La democrazia in tempi di populismo dilagante è un po’ come la felicità secondo Totò: “La felicità, signorina mia, è fatta da attimi di dimenticanza”, disse una volta il principe De Curtis ad una giovane Oriana Fallaci. Avendo capito che non solo i media, per i quali la verifica sarebbe doverosa, ma pure l’opinione pubblica ai fatti non è interessata più di tanto, i demagoghi che imperversano un po’ ovunque – non solo in Italia – hanno bandito ogni prudenza e si sono buttati a capofitto in quella che l’Economist ha definito l’era della “postverità”. Purtroppo a questa corsa ha finito per iscriversi anche un pezzo del sindacato italiano, la Fiom di Maurizio Landini, cui si è accodata – un po’ per stanchezza un po’ per calcolo – la casa madre, la Cgil di Susanna Camusso. Fiom e Cgil, non a caso, si sono arruolati, anche se in momenti diversi, nel fronte del no alla riforma costituzionale.

TUTTO IL POTERE AGLI ISCRITTI… ANZI NO!

Fino a due anni fa Landini era un critico severissimo della Cgil. Gli argomenti della sua polemica erano grosso modo sempre gli stessi, anzi a ben vedere tutte le critiche convergevano su un’unica accusa: la mancanza di democrazia interna. “Lei è favorevole all’introduzione delle primarie anche nel sindacato?”, chiedeva a Landini Repubblica il 5 maggio 2014 . Risposta: “Dopo che al congresso della Cgil ha partecipato circa il 20% degli iscritti credo che l’attuale discussione congressuale, con cadenza quadriennale, vada superata. Le primarie? Non escludo nulla per rendere più democratico e trasparente il sindacato…In ogni caso bisogna trovare un modo per far partecipare i lavoratori fino alla possibilità che siano loro a scegliere i gruppi dirigenti”.

In politica, ma anche nel sindacato, due anni possono essere tanti, un’eternità. Sarebbe quindi poco elegante, oltre che un filo moralistico, inchiodare un uomo alle sue opinioni di un tempo, anche se di un tempo recente. Ma Landini è Landini. Vale a dire un sindacalista che ha sempre amato presentarsi come “di rottura”, una figura di cerniera tra il mondo della rappresentanza classica e quello dei movimenti, al punto che non sempre è stato facile capire a quale dei due appartenesse. Siccome abbiamo preso a scriverne al passato, meglio chiarire: Landini non ha lasciato il sindacato, non si è chiuso in un eremo (basta accendere la tv dopo le 21 per fugare il dubbio) e non si è messo nemmeno a fare l’allenatore di una squadra di calcio, come vaticinava qualche tempo fa in una memorabile intervista al Fatto Quotidiano. Ha solo fatto i conti con la realtà. Giunto in prossimità della scadenza del suo ultimo mandato alla Fiom, costretto all’angolo da un rinnovo contrattuale che non può non firmare pena l’irrilevanza, ma che al contempo si preannuncia come un pugno allo stomaco dei suoi, si è fatto due conti e ha deciso che “un’emozione non si interrompe”, tanto meno quando si tratta del più catodico dei sindacalisti: meglio la cooptazione della pensione. Meglio dimenticarsi le critiche – non campate in aria, a dire il vero – ai meccanismi di selezione della classe dirigente in uso dentro la Cgil. Quelli, per intendersi, varati dall’ultima conferenza organizzativa che, dietro il paravento dell’apertura ai delegati, in realtà finiscono per rafforzare la presa dei vertici sulla base, alla quale si accorda il diritto non di scegliere, ma di essere scelta. Per capirsi: una sorta di Porcellum sindacale.

Del resto è noto che nelle organizzazioni politiche le quote altro non sono che meccanismi di cooptazione dall’alto, in cui la rappresentanza generazionale o di genere è un simulacro per il controllo dell’organizzazione.

LE PRIMARIE A ESITO AUTOMATICO: IL CASO FISMIC

Tramontata sul lato sinistro dello scacchiere sindacale, l’iperdemocrazia un tempo vagheggiata da Landini si è presa però una rivincita sul versante destro. A fine ottobre si terranno infatti le primarie del Fismic, il sindacato autonomo dei metalmeccanici nato in Fiat. Il suo segretario, Roberto Di Maulo, da tempo viveva con sofferenza il deficit di partecipazione che affligge la vita interna dei sindacati, benché in pochi lo sospettassero. Così illustrando a Italia Oggi la scelta in favore delle primarie si è prodotto in un’analisi spietata: “Io per primo sono rimasto vittima del tritacarne del consenso negli anni passati… la costruzione dei gruppi dirigenti del sindacato è assolutamente anti-democratica , non premia il merito e fa uscire i migliori.” Per riparare a tanta iniquità il gruppo dirigente del Fismic hanno deciso di esagerare in senso opposto: urne aperte a tutti, anche ai non iscritti purché in possesso di una “tessera provvisoria” acquistabile alla modica cifra di 10 euro. A garantire il rinnovamento sarà proprio Di Maulo, capolista con uno slogan che è tutto un programma: “Da oltre quarant’anni al servizio dei lavoratori” . E sì che il segretario aveva promesso che avrebbe lasciato alla fine del 2017, al termine dei suoi dodici (dodici!) anni di mandato e al compimento dei 65 di età, come prevede lo statuto. Nel frattempo si è assicurato la poltrona del Selpa, il sindacato dei pensionati del Fismic, caso mai quegli ingrati degli elettori – ipotesi del tutto improbabile- decidessero di giocare un brutto tiro al loro benefattore.

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