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Matteo Renzi, Beppe Grillo e i veri Avatar in politica

Farage BEPPE GRILLO, Virginia Raggi

Gianni Cuperlo era convinto di essere salito in vettura all’ultimo momento. Invece era solo l’ultimo treno.

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Un presidente incaricato con ben due cognomi (Paolo Gentiloni Silveri) non ce lo aspettavamo proprio. Si è ricordato, in queste ore, il ruolo avuto dal bisnonno, nel 1913, nel riportare, in appoggio a Giovanni Giolitti, i cattolici alle urne dopo il non expedit papale. Per qualche cautela di stile repubblicano si è sorvolato sul titolo di conte che Gentiloni ha ereditato. Per ritrovare una persona di nobile casato a presiedere il Consiglio dei Ministri – se non ci è sfuggito qualche caso – occorre risalire a Antonio Starabba, marchese di Rudinì. Carlo Sforza era conte, ma riuscì soltanto a diventare ministro degli Esteri.

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Quello di Paolo Gentiloni Silveri non sarà un governo fotocopia. Basterà la carta carbone.

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Nelle primarie per la candidatura a sindaco di Roma, vinte a suo tempo da Ignazio Marino, Gentiloni arrivò terzo. I concorrenti erano tre.

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Giuliano Poletti sembra essere uno di quei ministri che lasceranno l’incarico. Pagherà il conto del jobs act. Tutti in Italia sanno che a Poletti non è stata fatta toccare palla sia sulla legge delega che sui decreti delegati. Sembra uno di quei ragazzini di umile origine che venivano ospitati nei palazzi nobiliari a prendere le frustate al posto dei rampolli di sangue blu, quando combinavano qualche marachella.

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Prima che avessero inizio le consultazioni Sergio Mattarella ha preteso di rileggere le regole di ingaggio impartita da Matteo Renzi al momento della sua candidatura al Quirinale. Pare che non fosse previsto il compito di affrontare una crisi di governo. Di qui i dissapori tra il presidente e l’ex premier di cui si è parlato negli ultimi giorni.

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Avatar. Tutti gli esponenti del M5S hanno usato il paragone con il film in voga anni or sono (quando loro andavano ancora al cinema con i loro genitori) per squalificare la candidatura di Gentiloni Silveri. Certo che di Avatar loro se ne intendono.

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Se qualcuno nel pomeriggio di sabato avesse trovato il modo di intrufolarsi alla chetichella nei corridoi e nei saloni del Quirinale ed eludendo la vigilanza dei Corazzieri si fosse presentato alla tribunetta dichiarando di essere il presidente del sottogruppo (nell’ambito di quello Misto) ‘’Scazazza libera’’, nessuno avrebbe trovato alcunché da ridire. Visto il clima di disfacimento della politica che scorreva sotto i loro occhi, i giornalisti avrebbero pensato che c’era un ‘’buco’’ nel calendario diramato.

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Ma il clou della saga delle consultazioni lo si è avuto quando un parlamentare è salito alla tribuna, solo soletto, e ha dovuto persino presentarsi perché nessuno sapeva chi fosse. Immaginiamo che Mattarella abbia ordinato, a qualcuno della sua segreteria, di consegnargli un questionario da compilare, magari con l’indicazione del numero della carta di credito, per l’addebito delle spese.

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Zhang Yao era una giovane studentessa cinese venuta in Italia per partecipare – con fiducia ed entusiasmo – ai corsi di moda all’Accademia delle Belle Arti di Ripetta. Era una ragazza come tante sue coetanee: il padre ne ha riconosciuto il cadavere – fatto a pezzi dal treno che l’ha investita – grazie al tatuaggio di alcune rose su di una gamba e di una frase in inglese sul braccio. Tra le tante cose che si sono dette e scritte mi hanno colpito le considerazioni di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera: ‘’L’ufficio immigrazione (dove la giovane era andata per il rinnovo del permesso di soggiorno, ndr) si trova in una delle periferie più degradate di Roma al punto che si fa fatica a comprendere la ragione per cui un ufficio pubblico sia collocato in un posto simile’’. Davanti, peraltro, ad uno dei più grandi campi rom della capitale e in mezzo ad una discarica a cielo aperto. In sostanza, uno straniero è costretto a rischiare la propria sicurezza e la vita stessa per essere rispettoso delle leggi del Paese che lo ospita.

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Piazza Fontana. Il 12 dicembre 1969 io c’ero. Facevo parte della segreteria nazionale della Fiom ed ero impegnato insieme con i miei compagni nel rinnovo di quello storico contratto. Eravamo in trattativa al ministero del Lavoro di via Flavia. Sembrò che il mondo ci crollasse addosso.

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