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Gli Stati Uniti hanno colpito in Siria un convoglio governativo per proteggere i propri soldati

Giovedì tre fonti del Pentagono hanno prontamente confermato a BuzzFeed che gli Stati Uniti hanno condotto un attacco aereo in Siria, contro un convoglio militare governativo, come scritto dai reporter del super-sito americano poche ore prima. Più tardi ci sono state conferme ufficiali. Il bombardamento è avvenuto a sud, nell’area di al Tanf, dove il confine giordano e iracheno della Siria si incontrano, e dove scorre il vettore autostradale che unisce Damasco e Baghdad.

IL CORRIDOIO

L’area è desertica, ma è diventata piuttosto interessante perché è il punto terminale del Corridoio dell’Eufrate, la linea strategica (di rinforzi e copertura) che corre lungo il corso del fiume da Raqqa fino all’Iraq. Per il Califfato è ormai vitale, dato che le roccaforti Raqqa e Mosul stanno cadendo sotto i colpi della Coalizione a guida americana. In quella zona, si ricorderà, la caccia americana ai leader baghdadisti ha portato a ottimi successi, con operazioni mirate che hanno eliminato diversi comandanti nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

LA BASE DI AL TANF

Ad al Tanf ci sono team dei reparti speciali militari occidentali che stanno fornendo supporto e addestramento a un gruppo di ribelli vetted, ossia quel genere di forze dell’opposizione siriana armata completamente certificate dalle intelligence americane (acronimo tecnico VOS, Vetted Syrian Opposition). Questi, noti col nome pseudo-politico di Nuovo esercito siriano, dal dicembre del 2016 si fanno chiamare Revolutionary Commando Army, che dà il senso del loro ruolo: sotto il training e il coordinamento delle forze speciali occidentali, combattono con operazioni mirate i traffici che aprono il Corridoio del Califfato.

FUOCO DI PROTEZIONE

Il portavoce di CentCom, Josh Jacques, ha spiegato a VOA che l’attacco di giovedì è stato più che altro un avvertimento. Dice il maggiore del comando del Pentagono che gestisce l’area: da un po’ vedevamo avvicinarsi i miliziani che combattono per il regime siriano in quell’area, dalla quale invece dovrebbero star lontani. È una zona di deconflicting infatti (per un raggio di 34 miglia intorno alla base), decisa tra Stati Uniti e Russia proprio per permettere ai soldati americani di coordinare quei ribelli anti-IS. Negli ultimi due giorni ci sono state due violazioni a terra e una area (un Su-22 siriano è stato intercettato da due F-22 americani). Ieri si è avvicinato un convoglio assadista composto da 27 mezzi (si parla in generale di forze assadiste, si intende miliziani sciiti mossi dall’Iran, nel caso la milizia si chiama Kata’ib al-Imam Ali, e qualche unità dell’esercito regolare siriano). Sono entrati per una dozzina di miglia nell’area off limits. Per diverse ore li abbiamo osservati, stavano spostando unità da battaglia e bulldozer con i quali avrebbero creato postazioni di artiglieria, ha spiegato Jaques. Pure i russi avrebbero provato a dissuaderli, ma le richieste non sono state accolte. E allora sono decollati degli aerei che hanno colpito due degli escavatori e un carro armato.

NIENTE CAMBI DI STRATEGIA

“Non è un cambio di strategia”, precisa il maggiore per sottolineare che Washington non si farà coinvolgere di più nel conflitto siriano. Ma quella di giovedì è un’azione con un solo precedente: l’attacco punitivo americano del 7 aprile, dopo il bombardamento chimico di tre giorni prima. Entrambe sono avvenute sotto l’amministrazione Trump, che teoricamente doveva mantenere una postura distaccata sulla situazione, chiudere un occhio sulle malefatte del regime, e occuparsi solo di IS. Nel quadro: quattro giorni fa il capo dell’ufficio che per il dipartimento di Stato americano copre il Medio Oriente è andato davanti ai giornalisti, con tanto di prove documentate, a dire che il governo siriano ha costruito un crematorio dove brucia i corpi degli oppositori torturati nella drammaticamente famosa prigione di Saydanya, accusando praticamente Bashar el Assad di crimini di guerra. Se non è un coinvolgimento, quanto meno è un segnale evidente che la Casa Bianca ha piazzato dei paletti e non accetta che vengano violati.

IL PRECEDENTE DI AL TANF

A giugno scorso i caccia russi avevano colpito postazioni ribelli ad al Tanf. Era stato una circostanza unica fino a quel momento, dato che i russi combattono al fianco di Assad, ma quei ribelli meridionali non combattono il governo. Sono proprio dei commandos, come dice il nome, costruiti dagli occidentali e dai partner locali contro l’IS. A terra, al fianco dei ribelli, quella volta l’estate scorsa c’erano anche i SAS inglesi (ci sono ancora). Le forze speciali britanniche avevano lasciato poche ore prima dell’attacco russo una delle postazioni colpite, e per poco non finivano sotto le bombe di Mosca. Anche per questo i media del Regno Unito riprendono la notizia del raid americano di giovedì definendola “un’azione di protezione” per le “nostre” truppe (difendiamo “le nostre truppe” è stato anche il commento del capo del Pentagono Jim Mattis). In questi giorni i media inglesi hanno pubblicato foto proprio di quelle truppe mandate da Londra ad al Tanf.

Foto: BBC, via Telegraph

QUALCHE RETROSCENA?

Aguardare oltre alle contingenze specifiche, allora: l’attacco americano contro la milizia assadista filo-iraniana – che a quanto pare non rispondeva nemmeno ai comandi russi – è da inquadrarsi come un dono di impegno verso i nemici regionali di Teheran? Venerdì Trump parte per un viaggio in cui toccherà Arabia Saudita e Israele, due paesi che nel nemico iraniano hanno trovato un ponte per colmare le proprie distanze. A inizio settimana il presidente ha rivelato ai russi informazioni riservate su attività segrete che gli americani e i paesi alleati regionali stanno svolgendo contro l’IS. Giordani e israeliani sono coinvolti nella vicenda, perché sono coloro che hanno raccolto quelle informazioni. Le operazioni dei ribelli di al Tanf sono anche coordinate da queste dritte di intelligence.

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