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Ogni promessa è debito

Cosa prevede, quanto costa e chi pagherà la “Manovra del Popolo“?

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Nelle campagne elettorali, si sa, l’elemento fondamentale é costituito dalle promesse. Non solo la volontà di essere migliori degli altri ma impegnarsi nel dare ai cittadini tutto ciò che si crede possa contribuire al benessere collettivo.

Arriva poi, inesorabile, il momento in cui bisogna passare dalle parole ai fatti. L’immagine dei ministri del Movimento 5 Stelle esultanti dal balcone di Palazzo Chigi rappresenta un successo della propaganda (perché comunicazione non é) basata sulla narrazione che ha portato allo straordinario risultato del 4 marzo. Sebbene nessuno dei 5 Stelle abbia fatto notare che l’iter é appena iniziato e la strada sarà lunghissima –e in salita – per una volta i politici hanno mantenuto le loro promesse. Si, ma a che prezzo?

Raggiunto l’accordo sul rapporto deficit/PIL al 2,4%, dopo le tensioni con la Commissione europea la percentuale é stata ritoccata al 2,1% e al 1,8% per il prossimo biennio. La risposta dei mercati non si é fatta attendere: solo il giorno dopo l’annuncio, lo spread BTP-Bund aveva raggiunto un massimo di 267 punti dai 235 iniziali, i rendimenti decennali si sono stabilizzati al 3,13% e sono stati bruciati circa 22 miliardi di capitalizzazione sull’indice Ftse All Share.

Non é andata meglio in questa settimana, con lo spread che ha già sforato quota 300 punti a seguito della bocciatura di Bruxelles della lettera del Governo. Se, come ha affermato Salvini, “i mercati se ne faranno una ragione”, c’é da dire che se la sono fatta. E non in meglio per l’Italia. Si, perché sono proprio i mercati a finanziare parte della manovra. Ovviamente non si intendono solo i fondi di investimento, bensì la moltitudine di famiglie e pensionati che investono i loro risparmi in base alla fiducia.

Ma andiamo con ordine. Cosa prevede la Nota di aggiornamento al DEF?

Basandoci sui numeri resi disponibili, la nota elenca, tra i principali provvedimenti, 9 miliardi di euro da destinare al reddito e alle pensioni di cittadinanza, vero pomo della discordia e caposaldo della politica grillina, 12,5 miliardi per la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull’IVA (che tornerà comunque a innalzarsi dal 2020), 7 miliardi per il superamento della riforma Fornero e l’applicazione del regime di “quota 100”, 2 miliardi per la flat tax al 15% da applicare ai lavoratori autonomi, un fondo per risarcire le vittime dei crac bancari e un piano di assunzioni straordinarie nelle Forze dell’Ordine.

Buona parte di queste misure potrà essere realizzata in deficit, dunque da finanziare sui mercati. Ritornano così alla mente le parole del Ministro Di Maio quando, durante l’ultimo comizio della campagna elettorale, prometteva tagli per 30 miliardi da attuare per decreto durante il primo Consiglio dei Ministri (il rimando alle promesse é d’obbligo).

Che sia chiaro, non si tratta di criticare o criminalizzare l’intesa al 2,4%. Come é noto, l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi (uno dei più critici sull’argomento) viaggiava su cifre maggiori, andate via via decrescendo negli anni fino al 2,3% del 2017 (tenendo conto della situazione economica in quel periodo).

Qui si vuole discutere sulla natura delle decisioni, sulle spese e sulla sostenibilità delle misure che si vogliono adottare, sulla crescita del PIL e il relativo abbassamento del debito pubblico. Dunque, proviamo ad analizzare nel dettaglio i costi, i benefici e l’impatto delle principali misure.

Reddito di cittadinanza

Vero e proprio cavallo di battaglia del M5S, viene considerato una misura di sostegno per l’inserimento nel mondo del lavoro. Stabilita una quota fissa pari a 780 euro, verrebbe erogato in virtù dell’iscrizione ai Centri per l’Impiego, all’obbligo di accettare una delle 3 offerte di lavoro proposte e la disponibilità di 8 ore settimanali per lavori socialmente utili. Formalmente, facendo un banale calcolo aritmentico, 9 mld divisi per i 6,5 milioni di poveri stimati equivarrebbero a 115,39 euro a persona ogni mese. Per dare un’idea, il reddito di inclusione istituito dal Governo Gentiloni calcola circa 307 euro al mese. Considerando che circa 1 dei 9 miliardi verrebbero destinati alla riforma dei CpI, la quota si abbassa ulteriormente. In realtà, secondo il testo, il RdC non verrà distribuito equamente ma sulla base delle situazioni reddituali dei richiedenti. Soprattutto, in modalità integrativa a un reddito considerato sotto la soglia di povertà. Il discorso si applica anche alle pensioni. Tralasciamo, infine, l’assurdo dibattito sulla definizione di spese morali e immorali. È curioso che si voglia monitorare e punire le irregolarità nell’utilizzo del RdC mentre per i grandi evasori viene prevista la pace fiscale.

Premesso che questa misura non sarà inserita nella legge di bilancio ma attraverso un provvedimento ad hoc, dove saranno reperite le risorse? Si parla di utilizzare i fondi del REI (dunque sostituendolo), del Fondo sociale europeo, posto a sostegno del programma Garanzia giovani, del taglio alle pensioni sopra i 4.500 euro. Posto in questi termini, il RdC assumerebbe la forma di una misura di tipo assenzialista, in quanto non produrrebbe indotto essendo considerabile una spesa improduttiva. Si punta sulla formazione ma si pone in tal modo eccessiva fiducia nei CPI, i quali, dal 2003 al 2010, sono riusciti a occupare solo il 3% dei richiedenti (dati ISFOL). Riformarli impiegherebbe un lungo periodo, durante il quale l’erogazione del RdC risulterebbe a fondo perduto.

Quota 100

Il superamento della riforma Fornero é un punto comune ai programmi di Lega e M5S. L’abbassamento dell’età pensionabile sulla base della c.d. quota 100 é calcolato in base alla somma tra età anagrafica e anni di contributi. Secondo l’accordo stipulato, questa misura permetterebbe ai giovani di rimpiazzare i lavoratori anziani. Tuttavia, si profilano due opzioni: abbassare l’assegno pensionistico o integrarlo con una spesa aggiuntiva, come sopra evidenziato. Nel caso in cui venga scelta questa seconda ipotesi, si rischierebbe di far pagare ai giovani lavoratori una maggiore aliquota di contributi previdenziali, sempre dato per scontato che il turnover funzioni. Infatti, sono numerose le perplessità degli esperti al riguardo, i quali non rilevano evidenza empirica alla sostituzione automatica dei lavoratori. Si teme, inoltre, il rischio che in futuro si torni a un innalzamento dell’età pensionabile qualora il sistema collassi (basta guardare la piramide demografica del Paese).

Flat Tax

Riformare la fiscalità delle partite IVA potrebbe risultare un’ottima mossa. Superare il regime forfettario semplificherebbe di molto la vita dei contribuenti. Tuttavia, é doveroso esporre un dubbio: rendendo più appetibile un sistema simile, si rischierebbe di favorire forme di precariato tipiche dei lavoratori autonomi con reddito basso, non invogliando le aziende ad offrire contratti di assunzione di tipo “classico”, ben sapendo dei maggiori costi. Sarà interessante monitorare questo aspetto.

Tirando le somme, il quadro enunciato si mostra alquanto controverso. Sia Di Maio che Salvini sono convinti che elargire denaro pubblico ai cittadini possa fare da stimolo all’economia reale. In condizioni favorevoli, cioé senza un debito monstre e senza dover ricorrere ai mercati, sarebbe una posizione condivisibile.

Purtroppo, però, bisogna fare i conti con la realtà. Aumentare la spesa ricorrendo all’indebitamento comporta delle conseguenze. Inoltre, bisogna sottolineare che le maggiori misure sono inquadrate come spesa corrente per i prossimi esercizi, non come investimenti produttivi (spesa capitale). A quest’ultima viene destinato lo 0.2%  della manovra (proseguendo il trend negativo degli ultimi 5 anni), rimandando in seguito un piano strategico. Probabilmente  si farà riferimento alle somme stanziate dai governi precedenti.

Il Governo prevede una crescita del PIL fino all’1,5% per il 2019, 1,6% per il 2020 e 1,4% nel 2021, assicurando la diminuzione del debito pubblico al 126,5% nel 2021. L’ipotesi che il deficit in tal modo speso funga da moltiplicatore della domanda ha senso nel momento in cui il Paese é in recessione. In realtà, data la crescita – seppur lenta – dell’Italia, questo effetto verrebbe attenuato. Con conseguenze catastrofiche sul debito pubblico.

Chi deciderà saranno proprio i mercati. Finanziare la manovra o scommettere contro? I dati degli ultimi giorni non sembrano rassicuranti, alla luce anche dell’apparente assenza di investimenti strategici, finora solo annunciati. Nulla viene previsto per la ricerca, per l’istruzione e nei settori chiave per lo sviluppo del Paese.

Ancora, in caso di mancata fiducia degli investitori, dunque di fallimento, chi pagherà i tassi di interesse sul debito che lievitano in attesa che il Ministero dell’Economia e Finanze piazzi i titoli di stato sul mercato? Non bisogna dimenticare, a tal proposito, che a Dicembre finirà il sostegno del Quantitative Easing operato dalla Banca Centrale Europea.

Il Governo, infine, sta studiando le clausole di salvaguardia, prendendo in considerazione anche il taglio delle detrazioni fiscali, ad esempio sui mutui. Così facendo, si aggraverebbe la posizione dei contribuenti, finora palesemente ignorati in favore degli evasori, data l’idea della pace fiscale al vaglio dell’esecutivo (entrata una tantum). Quest’ultima, secondo i desiderata di Salvini, andrebbe a condonare i debiti con lo Stato fino a 500mila euro, con buona pace (questa si) dei contribuenti onesti, i quali si vedranno penalizzati per l’ennesima volta, rischiando rincari sulla tassazione indiretta necessaria a coprire le mancate entrate erariali.

É doveroso prendere in considerazione un ulteriore rischio relativamente alla costituzionalità del provvedimento. L’articolo 81 della Costituzione dispone che l’indebitamento può realizzarsi in base a due specifici criteri: il ciclo economico e il verificarsi di eventi eccezionali.

A quanto risulta, la situazione economica italiana é estremamente delicata ma, come già detto, siamo in crescita. Inoltre, non vengono elencati gli eventi eccezionali (nella scorsa legislatura furono l’immigrazione e il terremoto) se non un vago rischio di evoluzione negativa dello scenario internazionale. In ultimo luogo, la Nota calcola un peggioramento del deficit strutturale (parametro di giudizio della Commissione) dello 0,8% per il prossimo triennio.

Concludendo, l’impressione é quella di una manovra tesa ad accontentare frange di elettorato con finalità di aumento del consenso piuttosto che un vero piano per il rilancio del Paese. Senza dimenticare poi, la palese volontà di cercare uno scontro con l’UE in vista delle elezioni europee. Salvini e Di Maio sanno benissimo che l’Italia non potrà essere trattata come la Grecia, tuttavia ciò non toglie che si stia agendo sul filo del rasoio. Le elezioni si avvicinano e i due azionisti della maggioranza confidano nella svolta radicale che sembra profilarsi nel continente, a favore delle politiche sovraniste e anti-europeiste.

Qualora la manovra non dovesse rivelarsi efficace come nelle intenzioni del Governo, si assisterà a una situazione estremamente difficile per i conti pubblici. A farne le spese, come potrebbe apparire da quanto descritto, saranno i cittadini e, su tutti, le generazioni future.

Di Maio rassicura che i soldi ci sono. Si, ma a debito, come le promesse.

Luca Tritto

 

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