La vecchia saggezza popolare dice che le previsioni son fatte per essere smentite. La prudenza vorrebbe perciò che non ci si provasse nemmeno a farle. Soprattutto se esse sono rivolte a un ambito altamente imprevedibile e con mille variabili in campo quale è quello della politica.
La mia previsione è che quello che il presidente Giuseppe Conte ha chiamato “stallo” sarà superato in extremis per reciproco interesse (la politica non è altro che questo: convergenza di interessi). Ma esso non sarà passato invano: la impasse comunque sarà servita alle due forze di governo per marcare le loro differenze. Cosa quanto mai opportuna nel momento in cui le elezioni europee si avvicinano e pentastellati e leghisti hanno bisogno di rinsaldare la specifiche identità rispetto al proprio elettorato.
La differenza più marcata fra le due forze è nella vena anti-industrialista dei Cinque Stelle, che confligge nettamente con quella di un partito come la Lega che ha la sua base di insediamento soprattutto nel nord industriale e piccolo-industriale. Quella sulla Tav è per molti aspetti una battaglia simbolica per i Cinque Stelle, a cui difficilmente essi potrebbero rinunciare. Lo ha capito proprio Conte che ha dato una sponda di non poco conto a Di Maio, aiutando il vicepremier a rinsaldare la sua posizione interna: non a caso in questa occasione il Movimento si è mostrato compatto (quella contro la Tav è una battaglia soprattutto dell’ala di minoranza).
Avere un Di Maio forte, in questo momento, è interesse della stessa Lega, che non può permettersi di far cadere il governo perché la più naturale alleanza con Forza Italia non avrebbe numeri a sufficienza in Parlamento, ma forse neppure nel Paese. L’obiettivo comune delle due forze di governo è ora quello di portare a termine il cambio di potere, soprattutto attraverso le nomine, e poi di prepararsi ad essere forze alternative in un sistema profondamente mutato, soprattutto nelle classi dirigenti ma anche nelle idee. Le quali andranno a perdere gradualmente, sempre a mio avviso, il loro velleitarismo. Siamo entrati nel XXI secolo.
Ripeto: forse mi sbaglio di grosso, ma la logica della politica sembrerebbe dire questo. Non faccio scommesse in denaro, però.