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L’Aquila, i 10 anni dal sisma e una legge sulle calamità che continua a mancare

A dieci anni dal terremoto del 6 aprile 2009 a L’Aquila molto è stato fatto e molto c’è ancora da fare, ancora di più nelle frazioni e nel cratere sismico: un capoluogo di regione nel quale sono rinati meravigliosi palazzi d’epoca e chiese e sono state create strutture di altissimo livello scientifico che deve combattere contro un’inaccettabile lentezza burocratica nel settore pubblico, a cominciare dalle scuole ancora ospitate in strutture provvisorie, e una realtà economica in grande difficoltà. Il decennale dovrebbe servire anche a una riflessione nazionale su come vengono affrontate le calamità naturali e sulla caoticità delle norme, riflessione che dovrebbe cominciare proprio da chi non è mai stato toccato da un dramma simile e che pensa di esserne esentato: i terremoti in Emilia Romagna del 2012, quelli nel Centro Italia del 2016 e 2017 e in Sicilia l’anno scorso, le decine di alluvioni e smottamenti che massacrano intere aree ogni anno sono alcuni esempi. Ogni volta si ricomincia da capo, la prevenzione è pari a zero.

L’AQUILA, UN GIOIELLO DA AIUTARE

Una città distrutta, 309 morti, oltre 2mila feriti, 67mila sfollati, un territorio comunale di 473 chilometri quadrati con 64 centri abitati da rimettere in piedi, circa 700 edifici vincolati dal ministero dei Beni culturali, con palazzi e chiese di straordinaria bellezza, oltre ai 200 vincolati nei 54 Comuni del cratere sismico. Delle oltre 16mila persone ospitate nei 185 edifici del cosiddetto Progetto Case (Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili), realizzato all’epoca, e dei 1.114 Map, moduli abitativi provvisori (casette in legno), oggi sono ancora 2.900 le famiglie sfollate e in tutto sono 4mila quelle che godono di qualche assistenza mentre diversi appartamenti del Progetto Case sono stati assegnati ad abitanti di Amatrice dopo il sisma del 2016.

Qualche settimana fa il sottosegretario con delega alla ricostruzione, Vito Crimi (M5S), ha detto in un’audizione parlamentare che la ricostruzione privata nel Comune dell’Aquila è al 73 per cento: in particolare nel centro storico è al 74, nella periferia al 55 mentre è pessima la situazione nelle frazioni dov’è ancora al 21 per cento. Troppo lenta la ricostruzione pubblica. Un’accelerazione farebbe ripartire anche l’edilizia che soffre nonostante i tanti cantieri e nello stesso tempo c’è bisogno di investimenti per aumentare l’occupazione. L’Aquila può contare su giganti farmaceutici come Dompé e Sanofi Aventis, presenti da decenni e che hanno aumentato la produzione; su eccellenze come il Gran Sasso Science Institute, creato nel 2012 come scuola universitaria di alta specializzazione dipendente dall’Istituto di fisica nucleare; sullo stabilimento della Thales Alenia Space; sul colosso cinese Zte dopo che l’Agenzia spaziale europea ha scelto il capoluogo abruzzese insieme con Roma come sede per la sperimentazione del 5G. Eccellenze, ma di nicchia: ora serve qualcosa che aumenti l’occupazione “normale”.

LE PROSPETTIVE

Il ritardo con il quale il governo ha nominato i nuovi responsabili degli uffici speciali ha ulteriormente rallentato le procedure. In un’intervista a news-town.it Raffaello Fico, oggi al vertice dell’ufficio speciale per la ricostruzione dei Comuni del cratere (www.usrc.it), ha ricordato che le risorse stanziate “coprono” fino al 2020 e che, tra ricostruzione privata e pubblica, saranno necessari altri 4 miliardi. La lentezza nella presentazione dei progetti, per colpa di chi li redige, non consente una stima precisa e se fosse stabilito un obbligo temporale “in 5 o 6 anni potremmo arrivare al 90 per cento della ricostruzione”. Accelerazione che serve anche per l’ufficio per la ricostruzione dell’Aquila (www.usra.it): il nuovo responsabile, Salvo Provenzano, è convinto che l’attività istruttoria nel capoluogo possa concludersi nel 2021 e gli ultimi cantieri nel 2023-2024. Che serva un cambio di passo è stato riconosciuto anche da Gianluca Vacca (M5S), sottosegretario ai Beni culturali, soprattutto per la lentezza nella ricostruzione pubblica dovuta “al caos normativo, alla carenza di personale negli uffici e alla troppa burocrazia che rallenta tutto. Il nostro obiettivo è quello di semplificare la normativa, dotare le strutture di personale, ma anche ricostruire il tessuto sociale”. In particolare per i beni culturali, in 10 anni sono stati stanziati 1,5 miliardi di cui 1,3 per il patrimonio culturale privato con 313 pratiche di aggregati quasi del tutto ultimate.

I COSTI DEI TERREMOTI E IL CAOS NORMATIVO

Un’approfondita analisi dell’Ufficio valutazione impatto del Senato fornisce il quadro dei terremoti dell’Aquila nel 2009, della Pianura padana nel 2012 e del Centro Italia nel 2016-17. Fino al luglio dell’anno scorso erano stati stanziati 17,5 miliardi per il primo, 8,4 per la Pianura padana e 14,7 miliardi per il Centro Italia. In media, l’85 per cento è destinato alla ricostruzione, il 9 alle attività produttive, quasi il 4 per cento alle pubbliche amministrazioni e il 2,5 all’emergenza.

Procedure rigide e normative che si accavallano rendono ogni volta complicatissimo intervenire: Crimi ha annunciato entro l’anno una legge organica su come intervenire dopo una calamità. A febbraio in un’intervista all’Ansa il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi (già CasaPound, eletto due anni fa con Fratelli d’Italia), disse che “oggi non avremmo una città se nell’aprile 2009 non ci fossero state deroghe rispetto alla normativa sugli appalti per il Progetto Case, i Map e i Musp”, i moduli scolastici provvisori che ancora ospitano gli studenti aquilani visto che nessun istituto è stato ancora ricostruito. Anche Biondi è convinto che fra tre anni la ricostruzione privata sarà ultimata e auspica un decennale che racconti anche “di quanta bellezza ci stiamo riappropriando. Tanti problemi, ma anche tanti esempi di rinascita”. Su quella pubblica, invece, è indispensabile una normativa unica.

IL SINDACO DI QUEL 6 APRILE

Massimo Cialente (Pd) è stato sindaco dell’Aquila per 10 anni fino al 2017 e lo divide tutto da Biondi tranne la convinzione di mettere finalmente mano al modo di affrontare le emergenze. Mentre gli edifici ricostruiti a L’Aquila sono oggi tra i più sicuri d’Italia, Cialente ha voluto intitolare il suo libro appena uscito L’Aquila 2009. La lezione mancata (Castelvecchi) perché crede che non si sia fatto tesoro a livello nazionale di quell’esperienza. Poco prima del sisma aveva deciso di ristrutturare in modo antisismico alla fine dell’anno scolastico un edificio storico come la scuola elementare “Edmondo De Amicis” (costruito nel Quattrocento da San Giovanni da Capestrano come ospedale e rimasto tale fino all’Ottocento, chiuso dopo la scossa del 30 marzo 2009 e oggi ancora coperto da impalcature): un esempio che secondo Cialente dovrebbe far riflettere su quante “scuole De Amicis, intese come edifici con funzione pubblica, esistono oggi in Italia”. Solo a proposito di scuole, dati recenti di Save the Children indicano che appena il 53,2 per cento possiede il certificato di collaudo statistico e il 53,8 non ha quello di agibilità o di abitabilità. In pratica, la metà delle scuole italiane è a rischio crollo. Con l’esperienza drammatica vissuta da primo cittadino, l’ex sindaco dell’Aquila si domanda anche a che cosa serva sapere che in Italia abbiamo migliaia di edifici a rischio sismico, ma non si fanno politiche nazionali. La risposta che dà “è semplicissima e l’ho compresa in questi anni. Il Parlamento e il governo passano il cerino ai sindaci. Non danno loro risorse, ma responsabilità”.

LE COLPE DELLA POLITICA

Su una cosa dunque sono tutti d’accordo: serve al più presto una prevenzione valida e leggi efficaci per gestire la ricostruzione. Alla presentazione di quel libro Fabrizio Curcio, nel 2009 alla guida della gestione emergenze della Protezione civile e successivamente capo del Dipartimento, ha spiegato che servirebbero due cose per varare una legge organica da post-emergenza: “Una ‘pace politica’ e un equilibrio tra l’ordinario e lo straordinario perché oggi l’emergenza serve a sistemare quello che non è stato messo a posto prima”. Oggi ci sono gli incentivi fiscali per ristrutturare in modo antisismico abitazioni singole e condomini, ma occorre un senso di responsabilità che manca in chi non sa che cosa significhi avere la casa distrutta in pochi secondi. Il decennale del terremoto dell’Aquila dovrebbe dare il via a un grande dibattito su come predisporre una legge quadro, anche con l’aiuto di quella stampa che in questi giorni pubblica solo foto di macerie e di palazzi distrutti per parlare dell’Aquila, nascondendo quello che tra mille difficoltà è stato fatto. Il dolore porta un po’ di copie e di ascolti mentre oggi, al posto del cinismo e della speculazione (politica e non), servirebbe un sussulto di orgoglio nazionale e quell’utopistica “pace politica”. Prima della prossima tragedia.

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