Skip to main content

Era tutto pronto per la fine di Maduro, ma non avevano fatto i conti con Cabello

Sembrava essere arrivata per davvero la fine del regime di Nicolás Maduro in Venezuela. L’aereo per la fuga del governo chavista attendeva i “passeggeri” su una pista dell’aeroporto internazionale Maiquetía, ad una trentina di chilometri da Caracas.

L’intesa era arrivata dopo mesi di estenuanti negoziazioni. Al tavolo con l’opposizione venezuelana c’erano anche rappresentanti del governo americano; Mikael Moreno, presidente del Tribunale Supremo di Giustizia venezuelano; Vladimir Padrino López, ministro della Difesa e Rafael Hernández Dala, capo della Sicurezza presidenziale.

“Personaggi chiavi erano presenti nella negoziazione con l’opposizione – ha confermato il consigliere per la sicurezza degli Stati Uniti, John Bolton -. Quindi, Nicolás Maduro, potrai continuare a guardare il tuo ministro della Difesa e fidarti di lui? Non credo. Penso che Maduro è dentro una bottiglia piena di scorpioni, è solo una questione di tempo”.

Molto o poco tempo, non si sa. L’unica certezza è che l’Operazione Libertà sembra ritardata, almeno per quello che era l’obiettivo principale: fare cadere Maduro per lasciare spazio a un governo di transizione in Venezuela.

Molti dicono che l’iniziativa è stata disorganizzata (tra questi un rappresentante del governo del Brasile, qui l’articolo di Formiche.net). Altre fonti locali sostengono che è stata anticipata di un giorno rispetto al programma, costringendo alcuni governi che sostengono il presidente ad interim Juan Guaidó, tra cui Colombia, Brasile e Stati Uniti, a reagire immediatamente.

Da quanto si legge sul sito El Español, persino Vladimir Putin aveva già accettato l’uscita pacifica di Maduro. Il presidente russo avrebbe ceduto dopo l’incasso di garanzie da parte di Guaidó sul rispetto degli accordi già siglati tra Caracas e Mosca: “Putin era l’unico l’elemento che mancava fino a quel momento. Perché da gennaio, o forse anche prima, l’opposizione democratica venezuelana era con l’amministrazione americana. Nonostante le dichiarazioni incendiarie, la definizione della manovra di Guaidó come un ‘colpo di Stato’, Maduro aveva finalmente accettato il piano”. L’esilio cubano sarebbe stato solo uno scalo per un destino più gradito: la Repubblica Dominicana.

Che cosa ha fatto saltare tutto? Sembrerebbe che nel piano non era stato considerato Diosdado Cabello numero due del chavismo e attuale presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente ideata da Maduro.

Su Cabello pende un ordine di arresto internazionale della Drug Enforcement Administration (Dea), agenzia antidroga degli Stati Uniti. Secondo il New York Times, da anni è indagato negli Usa per essere il leader di une rete internazionale di narcotraffico.

Secondo Francisco Poleo, giornalista venezuelano esiliato a Miami, se cade Cabello il chavismo è finito. Il direttore di El Nuevo País e della rivista Zeta sostiene che Cabello, storico alleato e amico di Hugo Chávez, continua a controllare parte delle forze armate venezuelane. Rifiutandosi di cadere – perché per lui ci sarebbe da fare i conti con la giustizia americana – ha fatto saltare l’Operazione Libertà.

Nato a El Furial, stato Monagas, nel 1963, nei 20 anni di chavismo Cabello è stato segretario del Presidente, vicepresidente, ministro dell’Interno, ministro delle Infrastrutture, governatore dello stato Miranda, presidente dell’Assemblea Nazionale e dal 2008 è vicepresidente del Partito Socialista Unito de Venezuela. È considerato il braccio armato del governo venezuelano per il suo rapporto diretto con le Forze Armate.

Il suo potere proviene dal suo passato militare e dalla vicinanza con Chávez. Con l’ex presidente, scomparso nel 2013, aveva tentato un colpo di Stato nel 1992 contro il presidente Carlos Andrés Pérez. Nel 1998, è stato coordinatore della campagna elettorale che portò a Chávez alla presidente.

Considerato il nuovo Pablo Escobar, dal 2014 molti personaggi del chavismo hanno accusato Cabello di essere parte del Cartello de Los Soles. Il più noto è il capitano Leamsy Salazar ex capo di sicurezza di Chávez ed ex membro della guardia del corpo del presidente dell’Assemblea Nazionale. Dal 2015 è indagato negli Usa per narcotraffico e arricchimento illecito, e Trump lo vuole dietro alle sbarre.

Il Cartello de Los Soles sarebbe un’organizzazione venezuelana diretta da funzionari di alto livello delle forze armate del Venezuela che controllano un traffico internazionale di droghe. Membri del governo di Maduro – come i due nipoti condannati a 30 anni di carcere per narcotraffico a New York – sarebbero coinvolti.

Un altro dei leader del chavismo che non ha via di fuga, per cui si nega a cadere, è Tareck El Aissami, da tre mesi vicepresidente del Venezuela e ministro del Potere Popolare. Di origine libanese, alcuni media sostengono che ha rapporti con il gruppo terroristico Hezbollah che ha basi operative in territorio venezuelano.

Exit mobile version