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Usa pronti a intervenire direttamente su Hong Kong. Il messaggio di Pompeo alla Cina

Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha detto ieri che tutte le opzioni sono sul tavolo per un potenziale intervento diretto degli Stati Uniti sul dossier Hong Kong, se la Cina dovesse avvalersi di un’azione militare contro i manifestanti. È la dichiarazione americana più netta sulle proteste che da mesi infiammano il Porto Profumato. Dimostrazioni su cui la Cina ha reagito in modo aggressivo a livello politico internazionale, imponendo un firewall contro le letture dall’esterno. “Nessuna interferenza” è il motto con cui Pechino cerca di protegge la crisi e la linea tutt’altro che negoziale usata finora come approccio. Esacerbare lo scontro ha portato a un aumento delle violenze, anche da parte dei manifestanti, contro cui adesso il Partito Comunista cinese (Pcc) ha l’alibi di azione: li chiama “rivoltosi”, parla di “terrorismo”.

Washington lancia un monito forte, netto. Sebbene non è chiaro quanto sia nell’interesse cinese procedere con la repressione militare, non sono noti piani e non ci sono stato annunci a proposito. Anzi, con ogni probabilità per la Cina sarebbe assolutamente controproducente per l’immagine internazionale — passerebbe apertamente da autarchia brutale e si creerebbe enormi problemi di accountability. Altrettanto non è chiaro in che termini gli Stati Uniti potrebbero intervenire, dato che qualsiasi mossa su Hong Kong sarebbe letta da Pechino come una violazione di sovranità alla stregua di un atto di guerra.

Il monito di Pompeo ha un senso comunque: quello di far recuperare terreno agli Usa sul campo degli equilibri internazionali e soprattutto sul tema dei diritti (umani e civili). Un argomento di fondo del sistema di stabilità globale su cui si base l‘ordine occidentale. Inoltre diventa una leva per infastidire Pechino all’interno dell’enorme confronto tra potenze in corso.

Inoltre ieri c’è stata anche un’altra dichiarazione importante, quella del segretario del Partito Comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping, che ha parlato di come l’escalation violenta delle proteste sti minacciando la regola “un paese, due sistemi”. Ossia il quadro di relazione tra mainland e Hong Kong sancito quando il Regno Unito riconsegnò l’ex colonia alla Cina. Gli accordi conferiscono a Hong Kong uno status di semi-autonomia, un sistema simile allo stato di diritto occidentale di cui il Paese-Cina ne è tutore e controllore.

Le proteste sono scoppiate a giugno quando il pavido governatorato locale (accusato di essere non più di una marionetta cinese) ha proposto una legge sull’estradizione molto sbilanciata a favore di Pechino — che avrebbe potuto perseguire per certi reati i cittadini hongkonghesi secondo le sue norme. È stata una scintilla che ha innescato la miccia di migliaia di giovani che sentono la pressione della cinesizzazione sul proprio futuro. Da lì le proteste si sono trasformate in una richiesta di democrazia e libertà, ora piuttosto disordinata, che difficilmente sarà accolta dal Pcc, ma che diventa occasione costante per rimarcare le differenze valoriali su cui Cina e Usa — e Occidente — si basano.

Pompeo, parlando venerdì alla Rice University in Texas, ha detto che gli Stati Uniti incoraggiano il discorso politico e la protezione dello status di “un paese, due sistemi”, ma che non esclude mai ciò che il presidente Donald Trump potrebbe desiderare. “Non precludo mai alcuna possibilità su come il presidente Trump potrebbe pensare a come dovremmo rispondere in modo appropriato”, ha detto. Ossia un modo per dire che tutte le opzioni sono sul tavolo. “Abbiamo incoraggiato non solo Pechino, ma i manifestanti a impegnarsi in questo discorso politico per ciò che la gente di Hong Kong vuole in un modo non violento, che può, con qualche speranza, essere risolto in modo pacifico, con poche ferite e meno violenza. Questa è la nostra aspettativa, e l’abbiamo chiarito a tutti coloro che operano in quello spazio” ha spiegato comunque il segretario.

Un comitato consultivo del Congresso degli Stati Uniti giovedì ha raccomandato che i parlamentari approvino la legislazione che sospende lo status economico speciale di Hong Kong se la Cina interviene militarmente. La Camera dei rappresentanti a ottobre ha approvato all’unanimità la legislazione che richiede un controllo più attento degli sforzi di Pechino per interferire nella società di Hong Kong (non è chiaro quando questa proposta di legge in Senato riceverà un voto).

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