Tornare in Tunisia, a venti anni dalla morte in esilio di Bettino Craxi, per me, che vengo qui ogni anno dal 1996, da giornalista inviato speciale e poi anche in forma privata da persona che aveva il privilegio della fiducia e dell’amicizia del “Presidente Craxi”, nei suoi ultimi tre anni di vita, è stato un po’ come tornarci per la prima volta.
E rivedere, dopo aver visto il bel film di Gianni Amelio “Hammamet” con un superlativo Pierfrancesco Favino, il “film” vero tutto daccapo. Ovvero i giorni, non felici, di Craxi, le cui dichiarazioni preveggenti nei giornali italiani venivano regolarmente cestinate, in Tunisia. Il piccolo Stato africano protesse, accolse “a braccia aperte Monsieur Le President Craxi che con noi, rispettando le nostre tradizioni, ha scritto una storia d’amore: è stato il più tunisino degli italiani”. Sono le parole del sindaco di Hammamet, Moez Mrad, a Stefania Craxi, deus ex macchina delle manifestazioni del ventennale organizzate dalla Fondazione Craxi.
Stefania è stata coadiuvata dal segretario generale della stessa Fondazione Nicola Carnovale e dallo storico Andrea Spiri, insieme con la presidente Margherita Boniver. La figlia dello statista socialista, senatrice di Forza Italia, vicepresidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, ne è presidente onoraria, dopo averla creata nel 2000 per tener viva la memoria del padre e restituirgli l’onore politico. Le iniziative proseguiranno in Italia per tutto l’anno.
Hammamet è invasa anche da numerosi cittadini italiani partiti per conto proprio per portare un garofano sulla tomba di Craxi al piccolo cimitero cristiano, dove sulla lapide è scritto: la mia libertà equivale alla mia vita.
Chissà, forse sull’assenza della sinistra post Pci il presidente Craxi avrebbe magari fatto una di quelle sue battute ironiche e raffinate che lo accompagnarono quasi fino alla fine dei suoi oltre 3000 giorni a Hammamet, dal 5 maggio del 1994, quando partì ancora da libero cittadino, senza condanne, con avvisi di garanzia e due passaporti validi, quello personale e quello dell’Onu, essendo stato anche consigliere speciale del segretario generale delle Nazioni Unite per il debito pubblico dei Paesi in via di sviluppo. “Craxi – ricorda sua figlia – era ospite della Tunisia secondo le regole del diritto internazionale”.
Quanto al suo di ricovero, quello finale all’Hopital Militaire di Tunisi, Stefania riavvolge il nastro del “film”, quello vero, dei giorni drammatici che culminarono, dopo frenetici consulti tra i bravi ufficiali medici di Tunisi, ma non dotati di macchinari adeguati per un’operazione preliminare al cuore, e i medici del S. Raffaele di Milano, con l’intervento chirurgico al rene destro aggredito da una vasta massa tumorale. L’operazione fu eseguita dall’urologo di fama Patrizio Rigatti, mentre un infermiere teneva ferma una lampada penzolante. Ogni tentativo per farlo tornare in Italia per curarsi da uomo libero, condizione per lui imprescindibile, fallì.
Massimo D’Alema, allora premier, dice chiaramente nel nuovo docufilm prodotto da Sky “Il caso Craxi, una storia italiana” proiettato in anteprima internazionale all’Hotel Sol Azur: “Telefonai a Borrelli, chiesi che Craxi potesse tornare in Italia, con una sospensione della pena, mi rispose: può tornare, ma deve essere piantonato da due carabinieri dietro la porta dell’ospedale”. Craxi disse di no. Ma aggiunse anche a sua figlia Stefania sull’operazione ad alto rischio avvenuta il 30 novembre 1999 (morì poco più di un mese e mezzo dopo per un infarto): “E poi è anche giusto che mi operino in Tunisia, il Paese che mi ha accolto, protetto e amato. Al quale devo rispetto”.