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Libia e Iraq, Massolo (Ispi) spiega su cosa deve scommettere l’Italia

Può sembrare un’ovvietà, ma la mediazione è l’unica arma che resta in mano all’Italia per imporre un cambio di direzione alla crisi libica ed evitare una Caporetto strategica per lo Stivale: una frammentazione del Paese in bande tribali. “Andrebbe contro ogni nostro interesse securitario ed energetico, e renderebbe più difficile la lotta al traffico di migranti” dice a Formiche.net Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi (Istituto di studi per la politica internazionale), già direttore del Dis (Dipartimento dell’informazione per la sicurezza).

Khalifa Haftar a Mosca ha detto di no alla tregua.

Ha preso tempo fino a domattina. Non sempre queste trattative riescono al primo tentativo. Una tregua è tuttavia l’unica soluzione al momento.

Come se ne esce?

Per ottenerla devono adoperarsi le parti che oggi hanno una voce in capitolo in Libia. Da un lato Turchia e Qatar, dall’altro Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Serraj e Haftar da parte loro non possono più ignorare la realtà.

Quale?

Serraj non può non riconoscere che Haftar ha ormai il controllo di parti significative del territorio libico, anche se a macchia di leopardo. E il generale della Cirenaica non può più essere così sicuro dell’incondizionato appoggio della Russia.

Perché?

Mosca vede in Libia un’occasione per esercitare influenza. Egitto ed Emirati Arabi invece considerano il dossier libico molto più strategico e sono pertanto più intransigenti. Su questi due Paesi anzitutto la comunità internazionale deve fare pressione, per convincerli a fermare a loro volta Haftar e a favorire un’intesa.

Può durare?

Ovviamente, anche una volta accettata, sarà da puntellare e sostenere costantemente. Questi Paesi coinvolti nel risiko libico dovranno lavorare insieme agli Stati europei, Francia e Italia in testa, così come agli Stati Uniti.

È vero che la Francia ha intralciato la mediazione italiana in Libia?

Macron è stato preso in contropiede almeno quanto il resto dell’Ue. Per questo è il momento giusto per recuperare la Francia. Non come Italia, ma come gruppo di Paesi europei che in queste settimane ha seguito da vicino la crisi. Piaccia o no, senza Francia una via di uscita non si trova.

L’Italia è stata troppo prudente in questi mesi?

Europa e Italia hanno fatto un investimento eccessivo nell’Onu, che è stata lasciata a se stessa e ha fallito nei tentativi di mediazione. Oggi il timone è doverosamente tornato nelle mani degli Stati. È stato un risveglio brusco per tutti, anche per Roma.

Di Maio ha proposto l’invio dei caschi blu.

Non è chiaro chi dovrebbe chiamarli. Se lo facesse Serraj, Haftar non sarebbe d’accordo, e si esporrebbero centinaia di soldati a gravi rischi. Senza dimenticare che in Libia non esiste una linea confinaria come quella che, ad esempio, piantona i soldati della missione Unifil in Libano.

L’Italia non deve avallare la creazione di due Stati distinti?

Storicamente lo Stato libico unitario è nell’interesse italiano. Perché dovremmo proprio noi farci portatori del riconoscimento di una linea di demarcazione territoriale che dà vita a due Libie?

Anche perché da entrambe le parti opera l’Eni.

Non è nel nostro interesse energetico, securitario, né aiuta la lotta al terrorismo e al traffico di esseri umani.

In Iraq il governo si sta muovendo meglio?

Ammesso che effettivamente da parte irachena si richieda il ritiro delle truppe americane e occidentali, la permanenza in Iraq della Coalizione anti-Isis rimane una priorità per il Paese e per gli Stati che forniscono le truppe.

Quindi è giusto rimanere sul campo? Si parla di 900 uomini…

L’Italia da anni è impegnata nell’addestramento dei soldati iracheni nella lotta al terrorismo islamico. Prima di prendere decisioni drastiche è opportuno rifletterci sopra. Ha fatto molto bene il governo italiano ad annunciare la nostra presenza nelle basi in Iraq.

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