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Fermezza e moderazione. La linea della Nato spiegata da Minuto Rizzo

“La politica dei droni in fondo non paga: morto un papa credo che anche lì se ne farà un altro. Resta il fatto che l’Iran è una presenza davvero invasiva nell’intera area: non sono dei martiri”. Così l’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, presidente e fondatore della Nato defense college Foundation, a Formiche.net a cui affida la sua analisi dopo la riunione straordinaria del Consiglio Nord Atlantico.

“Serve una de-escalation e moderazione”, ha detto il numero uno della Nato Jens-Stoltenberg: ha parlato solo all’Iran o anche all’occidente?

In primis va osservato che la Nato non è un’organizzazione come Onu e Ue dotata di competenza universale, ma riflette il consenso politico degli stati membri. Per cui non ha attinenza diretta con l’Iran, ma segue ciò che accade nella comunità internazionale. Per cui la riunione del Consiglio la valuto come il tentativo di portare al contesto un po’ di pacificazione obbligata: un gesto di conciliazione da parte della Nato in cui si invita a tenere i nervi saldi.

E dopo il richiamo alla pace?

Mi sembra corretto che Stoltenberg abbia parlato di de-escalation, perché credo che sia il desiderio di tutte le persone responsabili. Parlare di moderazione, se vogliamo, è abbastanza coraggioso perché potrebbe essere interpretato come un messaggio agli Usa, che non sono stati ufficialmente citati. Non è stato un commento semplice questo. Non so se al di là dell’oceano sia stato gradito o meno.

Cosa potrà fare in concreto la riunione straordinaria del Consiglio Nord Atlantico dopo la sospensione delle missioni di addestramento in Iraq?

Qui si entra davvero nella complessità della crisi in atto. Come occidentale la mia prima reazione è di dispiacere nel perdere l’Iraq: un gran peccato che l’occidente perda quel Paese e mi auguro che si trovi un compromesso per far restare una presenza straniera in loco dal momento che garantirebbe dei benefici anche agli stessi iracheni. L’anello debole di tutta questa vicenda è proprio l’Iraq.

In che termini?

Si sente offeso perché Soleimani è stato eliminato proprio all’aeroporto di Baghdad, e a quanto dice il Primo Ministro iracheno, era stato invitato lì, anche per via di una de-esclation tra Iran e Arabia Saudita. Quindi un altro paradosso è che la sospensione delle missioni in Iraq è stata chiesta da quello stesso Parlamento nato dopo che gli Usa hanno abbattuto il regime di Saddam. In tutto questo scenario vedo comunque un po’ di superficialità americana. Il conto politico è negativo per l’intero occidente, la politica dei droni in fondo non paga: morto un papa credo che anche lì se ne farà un altro. Resta il fatto che l’Iran è una presenza davvero invasiva nell’intera area: in Iraq, in Siria, in Libano, a Gaza. Non sono dei martiri.

In Italia è circolata la vulgata, subito smentita, che il drone Usa fosse decollato da Sigonella nonostante la distanza tra Sicilia e Iraq (2.700 km) fosse superiore all’autonomia del drone stesso (1.800 km). C’è stata anche una pericolosa disinformazione?

Le fake news sono purtroppo sempre in agguato, in tempi così concitati, in cui è difficile verificare le notizie. Quando avvengono a velocità supersonica, le cose si perdono. Sigonella non c’entra affatto e l’Italia non ha alcun ruolo, neanche di tipo logistico in questa storia, che è molto lontana.

Gli Stati Uniti si aspettavano qualcos’altro dall’Italia? Per questa ragione hanno conversato con Parigi, Berlino, Londra ma non con Roma?

Non direi. Le telefonate sono state fatte in relazione al peso dei singoli alleati da cui scaturiscono delle valutazioni.

 

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