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Investimenti strategici fuori dal Patto di Stabilità. La proposta di Pittella

L’Europa entra in una nuova era. Basta con il rigore, basta con l’austerity, con lo spettro del 3% e con il duopolio Francia-Germania. Da ieri per l’Unione è iniziata, ufficialmente, una nuova stagione, con l’apertura del cantiere per un nuovo Patto di Stabilità, tutto crescita, innovazione e sostenibilità. Bruxelles ha appena avviato la maxi-consultazione tra gli Stati membri al fine di mettere a fattor comune tutte le singole proposte per il nuovo assetto, che arriveranno da qui a un anno. Obiettivo, non più decidere la politica economica europea dentro la Commissione, ma plasmarla a immagine e somiglianza dei Paesi dell’Unione. Il primo passo verso questo cambio di metodo e, forse, di rotta, è la stesura del bilancio europeo 2021-2027, il cuore della politica economica comunitaria.

Un primo confronto sul bilancio si è tenuto oggi a Roma, nella cornice del Tempio di Adriano, durante il convegno “Un nuovo bilancio europeo all’altezza delle sfide”, promosso e organizzato da Commissione europea, Regione Lazio e Parlamento Ue. Nove ore di interventi e dibattiti alla quale hanno preso parte praticamente tutti i rappresentanti del mondo politico-economico italiano ed europeo. Dal presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, passando per il vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco fino ad arrivare ai manager delle grandi società.

Tra i relatori, anche Gianni Pittella, che l’Ue la conosce bene e che Formiche.net ha interpellato a margine dei lavori. Ex vicepresidente vicario del Parlamento europeo, eurodeputato, oggi senatore dem in commissione Affari Ue ma soprattutto relatore di quel bilancio europeo che sancirà la nascita di un’Europa diversa.

Pittella, l’Italia dovrà fare la sua parte nel fornire proposte concrete per il nuovo Patto di Stabilità. Quale suggerimento?

Sicuramente togliere dal Patto le spese per gli investimenti, sia immateriali, sia materiali e che riguardino la ricerca e l’innovazione, ma soprattutto l’economia verde e le infrastrutture. Questa è oggi la vera sfida, perché altrimenti non avremo gli strumenti per una vera crescita sostenibile nei prossimi anni.

Il nuovo Patto forse non sarà più sotto l’influenza di Francia e Germania, come invece è stato nel passato. In Europa è finita un’epoca?

In realtà quella fase è già finita, in Europa purtroppo c’è sempre una certa lentezza nel capire che una stagione è superata. Ma non c’è dubbio che il periodo dell’austerity, che era impersonificato nell’asse franco-tedesco è passato da tempo. Sono anni che questo totem è stato rimosso, ma si tarda a capirlo.

L’austerity ha fatto qualche guaio in passato…

Quell’impostazione aveva i suoi strumenti, come il vecchio Patto di Stabilità. Ora ne servono di nuovi, o comunque una modifica strutturale degli strumenti nella disponibilità dell’Europa, questo occorre capire. E forse ci siamo arrivati.

Sul nuovo Patto mancherà quell’influenza tedesca che ben conosciamo?

Credo sia auspicabile, la Germania ha i suoi problemi e credo si sia resa conto che l’austerity va contro i suoi stessi interessi. Una cosa è il rigore, una cosa è il rigorismo, bisogna tenere conto di due esigenze, della sanità dei bilanci e della sanità delle persone: se i bilanci sono a posto ma poi le persone muoiono di fame, perdono il lavoro, si disperano, alimentando così il populismo, non è un bene. Nemmeno per la Germania.

Il fattore Brexit. Come vede un’Europa senza Regno Unito?

Sicuramente peggio di prima, più debole. Parliamo di una scelta frutto di ragioni umorali, poco politiche. C’è da augurarsi un accordo che regolamenti l’uscita della Gran Bretagna nel modo meno dannoso possibile per i rapporti tra questa e l’Unione, per la libera circolazione, la libertà di commercio e intrapresa e soprattutto la libertà di studio, di lavoro e di stabilimento dei cittadini dell’Unione nel Regno Unito e del Regno Unito nei Paesi dell’Unione. Tuttavia, possiamo guardare anche al bicchiere mezzo pieno…

E come?

Il Regno Unito ha in qualche modo sempre costituito un freno per l’Ue. Ora che questo freno non c’è, forse possiamo andare avanti più speditamente, sapendo però che abbiamo altri freni, come quei Paesi oggetto dell’allargamento della stessa Unione.

Parliamo di Italia. Il nostro Paese non cresce e anche nel 2020 rimarremo anemici. Che si fa?

Investimenti e ancora investimenti. Mi rendo perfettamente conto che non è facile. Ma l’Europa ci deve aiutare, perché senza investimenti pubblici e privati nell’economia verde, non ce la faremo. E poi bisogna completare l’Alta Velocità in tutta Italia perché non è possibile che una parte del Paese ne goda e l’altra invece no.

Faccio notare che abbiamo un debito pubblico enorme, non è facile investire quando si hanno le finanze bloccate, o quasi.

Le due cose si possono fare inseme, investire e ridurre il debito pubblico. Si può fare una politica per gli investimenti e una politica graduale di riduzione del debito. Ma sottolineo graduale, sennò si uccide il paziente.

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