La Germania, che ha la presidenza di turno dell’Unione, non s’è messa a fare il sindacalista degli italiani, sta solo dando corpo concreto a un interesse reale, quello del mercato interno europeo. La Germania, come anche l’Italia che funziona, è una potenza industriale esportatrice. Per noi il mercato europeo è vitale. Da cui il loro impegno nel difenderlo, mentre qui si predilige l’approccio mendico e gradasso, anema e core, infiocchettato di soavi ideali, giusto ieri negletti, puntando ad avere denari. Che abbiamo sempre avuto, a dispetto dei contabili strabici che parlano (parlavano) dell’Italia quale contributore netto, perché con il nostro debito e senza la copertura della Bce i dolori sarebbero forti e, del resto, come credono sia possibile che avendo il doppio dei debiti che avevamo con la lira si paghi la metà degli interessi?
Ma veniamo all’incontro.
Il tema non è il quantum, ma il modo. E il modo non riguarda le “condizioni”, che è tema agitato solo nei bassifondi delle polemicuzze dialettali. Per capirsi: ciascuno, legittimamente, difende i propri interessi e i Paesi che hanno basso debito ne approfittano; noi, che lo abbiamo alto, produciamo più di loro, ma abbiamo anche una pessima propensione a buttare soldi nell’assistenzialismo; il punto d’incontro potrebbe consistere nell’investire soldi generati da debito europeo in quel che serve per superare arretratezze e generare gettito fiscale.
Il centro del proble
L’incontro di oggi sarà andato bene solo se avrà trasmesso al governo più bisognoso d’interlocuzioni e coperture la consapevolezza che al prossimo “facciamo da soli” c’è il serio rischio di sentirsi rispondere: fatelo.