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Roma? Grandi capitali solo con grandi poteri. La riflessione di Massimiliano Atelli

Nell’attesa che entri nel vivo la ricerca del nuovo sindaco di Roma (per ora, la ricerca è quella dei candidati), nello spazio vuoto del dibattito che ancora non c’è restano sospesi tutti i grandi temi che nel bene e nel male toccano la Capitale e, anche, idee e soluzioni che, ad andamento carsico, si propongono all’attenzione dei romani e di chi ha a cuore Roma.

È il caso dell’ordinamento speciale per Roma Capitale, da tempo immemore evocato eppure assai lontano dall’essere tradotto in concreto. In sostanza, un insieme di poteri, strumenti e risorse sensibilmente differenti rispetto a quelli di cui dispongono le altre grandi città. Tema reale, non vacuo o ozioso, dato che le principali capitali europee hanno statuti speciali, alcune perfino un regime simile a quello di una regione. In questo, Roma è effettivamente un’anomalia.

Un tentativo vi fu, per la verità, ai tempi della delega sul federalismo fiscale, ma non ne sortì qualcosa di concreto.

Roma, ricordiamolo, è una città grande: solo per fare qualche esempio, è il più grande comune agricolo d’Europa, ha la più estesa area archeologica del Vecchio Continente, e vi ha sede la più grande università d’Europa per numero di iscritti. Anche in ambito nazionale, il raffronto comparativo di base dà immediatamente il senso della complessità, prima che della nuda vastità: Roma si estende per 1.287 chilometri quadrati di superficie, contro i soli 182 di Milano.

Pensare di governare tutto questo (e molto altro) con poteri e mezzi ordinari, occorre dirselo con franchezza, è uno dei segni della nostra decadenza, nel campo della cultura del fare (nella legalità, ma fare) e del saper fare. Perché Roma è complessità, e gestire la complessità richiede strumenti e cultura (di management, ma né solo pubblico né solo aziendale) all’altezza della sfida.

Oltre che una città grande, Roma è infatti anche una grande città. Su di essa insistono e gravano, infatti, tutte le funzioni speciali di una Capitale, che implicano stress gestionali e costi straordinari cui la città si trova a far fronte con un bilancio, viceversa, ordinario. A Roma hanno sede le principali istituzioni statali, i quartier generali di importanti aziende (dalle quotate a partecipazione statale ad alcune multinazionali), organizzazioni internazionali e i corpi diplomatici presso il governo italiano e presso la Santa Sede, attesa fra l’altro la presenza, nel territorio del comune, di uno Stato straniero dalle caratteristiche particolari, quale il Vaticano.

Per immediata conseguenza, manifestazioni a getto continuo, anche in simultanea, di regola concentrate in aree centrali e in spazi limitati, con conseguente forte aggravio della pressione su mobilità e servizi, e non di rado problemi di ordine pubblico. Tutto ciò si aggiunge, in tempi normali, ai dati relativi ai flussi turistici: per restare alla fase pre-Covid, i dati elaborati dall’Ente Bilaterale del Turismo del Lazio indicano, nel 2019, circa 19,4 milioni di arrivi (con un + 2,52% rispetto al 2018), e circa 46,5 milioni di presenze (con un + 2,41%, sempre rispetto al 2018).

Grandi numeri, tutti. Troppo grandi, per la verità, per poteri troppo piccoli e finanziamenti troppo inadeguati.

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