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Compiacersi o inquietarsi per i risultati della maturità 2021? Scrive Zecchini

È necessaria una grande volontà di riforma per avanzare da un’istruzione finalizzata a ottenere un titolo di studio da far valere al momento delle assunzioni a una mirante a far acquisire allo studente apprendimenti utili per edificare il proprio futuro di lavoro. L’analisi di Salvatore Zecchini sulla maturità giunta dopo un anno di sconvolgimenti dove la quasi totalità degli ammessi (99,8%) ha superato la prova, o meglio il 96% di quanti hanno completato i corsi d’istruzione secondaria

È passata con pochi commenti la recente pubblicazione dell’esito degli esami di maturità di quest’anno, una prova che dovrebbe rappresentare il metro di quanto hanno appreso le nuove leve all’ingresso nella maggiore età, quando bisogna prepararsi per poter dare il proprio contributo a una società attiva. Dopo un anno di sconvolgimenti dei normali rapporti con la scuola, per le famiglie, e non solo gli studenti, è stato un momento di sollievo vedere che la quasi totalità degli ammessi (99,8%) ha superato la prova, o meglio il 96% di quanti hanno completato i corsi d’istruzione secondaria.

L’aspetto peculiare rispetto agli anni passati sta nel generale miglioramento dei risultati, con uno spostamento delle valutazioni verso le fasce più alte e un restringimento di quelle basse. Più della metà degli esaminati (53% circa) ha riportato un giudizio compreso tra 80 e 100 su 100 e tra loro 15.353, pari al 3,1%, hanno ricevuto la lode, con un balzo del 19% rispetto al già generoso 2,6% dell’anno precedente. Anche coloro che hanno riportato la votazione massima sono aumentati notevolmente, passando dal 9,6% al 13,5%, mostrando come nel passato una concentrazione nei licei classici, che si amplia più che per gli altri corsi. È da notare l’ampliamento dei giudizi massimi dati nei licei scientifici, ma la loro incidenza resta inferiore a quella del classico (26,7% contro 30,8%).

Tra i diplomati nella fascia alta di voti svettano alcune regioni del Mezzogiorno, in particolare Puglia, Calabria e Sicilia, mentre molto più contenuti i giudizi in Lombardia ed Emilia-Romagna. Questa diversità di risultati rispecchia quella in termini di ritmi di progressione rispetto all’anno passato: nelle prime regioni si sono ottenuti i miglioramenti più consistenti in contrasto con le seconde, in cui i progressi sono stati moderati. In una prospettiva pluriennale che copre lo scorso decennio, l’innalzamento dei giudizi anno dopo anno ha avuto un andamento lento ma continuo, che mostra un salto in avanti soltanto negli anni della pandemia.

Apparentemente sono risultati molto lusinghieri, ma possiamo compiacerci dei progressi ottenuti, oppure sono da considerare come segnali di problemi ignorati e non trattati nel sistema d’istruzione, quindi motivo per focalizzare anche su di essi gli interventi di riforma indicati nel programma del Pnrr? Salta immediatamente all’occhio che questi risultati sono nettamente contrastanti con quelli forniti dai test dell’Invalsi e del programma Pisa dell’Oecd. Perché tanta differenza? Questo è l’interrogativo principale e inquietante che non sembra aver attirato l’attenzione dei governanti del sistema.

Si è soltanto sentito qualche commento non ufficiale nei termini che si tratta di test differenti e non comparabili. Ma qual che siano le differenze tra le prove, tutte mirano necessariamente ad accertare il livello di apprendimento dei discenti e a verificare se hanno acquisito quel bagaglio di conoscenze su cui poter costruire un’attività lavorativa.

Mentre il responso degli esami di maturità sembra attestare un notevole livello di apprendimento nella maggioranza degli esaminati, quello degli altri due test dimostra l’opposto, ovvero in generale modeste conoscenze della lingua madre, della matematica e delle scienze, e in una minoranza di studenti addirittura rilevanti carenze di sapere.

Inoltre, secondo questi test, negli scorsi anni i miglioramenti sono stati graduali, con qualche pausa temporale e non tali da ridurre il consistente distacco dal gruppo dei Paesi in cima alla scala. Anche nel confronto tra regioni, si è visto che quelle del Mezzogiorno restano indietro rispetto ai livelli raggiunti da quelle del Nord. Divergenze così vistose tra esami di maturità e test non possono passare sotto silenzio, ma dovrebbero ricevere particolare attenzione nel senso di individuare le cause e trattarle efficacemente.

I fattori andrebbero ricercati nel grado di attendibilità delle verifiche del sapere, nel ruolo dei docenti, nei programmi d’insegnamento e nella governance del sistema. Si è sostenuto che la diversità delle prove ha il suo peso. I test si basano su prove scritte volte a misurare oggettivamente l’apprendimento dello studente secondo un metro basato su ampie analisi di quali campi del sapere e a quale livello egli debba padroneggiare per il suo futuro nel lavoro e nella società. I test sono standardizzati nella conduzione e nella verifica, assicurando un buon livello di attendibilità.

Per gli esami di diploma di quest’anno, invece, il Miur ha richiesto una prova unica di tipo orale, che si basa su un elaborato dello studente, preparato nel mese antecedente gli esami, su discipline caratterizzanti scelte dal consiglio di classe in una prospettiva multidisciplinare. Si tratta, quindi, di una valutazione soggettiva, che non risponde a criteri standard per tutto il Paese, che può essere condizionata dall’assenza di valutatori esterni e che presenta deficit di attendibilità per via della possibilità che lo studente possa avvalersi di aiuti esterni nella compilazione dell’elaborato. Indubbiamente, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia e all’esteso ricorso alla Dad gli studenti non hanno potuto ricevere il normale apporto di insegnamento dalla scuola. Hanno dovuto, piuttosto, contare molto sull’iniziativa personale, sulla collaborazione a distanza con altri studenti e sul coinvolgimento delle famiglie nel fornire istruzione direttamente o per mezzo di istruttori privati.

Laddove sono mancati un ambiente familiare favorevole ed una forte motivazione personale ad apprendere la preparazione degli studenti dovrebbe avere sofferto. Benché non si disponga di indagini statistiche complete, questa situazione ha probabilmente caratterizzato una quota importante della popolazione studentesca, in quanto la forzata convivenza in stretta prossimità nella stessa abitazione con genitori impegnati nel lavoro a distanza, insieme alle disparità di livello d’istruzione tra famiglie hanno reso molto difficile fornire un insegnamento adeguato per tutti.

Lo testimonia l’ultima indagine dell’Invalsi che rileva perdite di apprendimento relativamente più accentuate tra quanti provengono dagli ambienti più svantaggiati ed un aumento della dispersione scolastica con punte soprattutto al Sud.

A determinare la divergenza di risultati tra maturità e test hanno contribuito pure i docenti in vario modo. È possibile che siano stati più indulgenti verso gli studenti che nel passato, in considerazione delle difficoltà incontrate nello svolgere il loro insegnamento. Maggiori le difficoltà a livello territoriale e maggiore l’indulgenza, come si può arguire dal più elevato aumento delle alte valutazioni nel Mezzogiorno nel confronto con il Nord. È probabile che abbia inciso, inoltre, la scarsa preparazione e consuetudine dei docenti a utilizzare strumenti digitali per applicare una nuova didattica che si componga di un’innovativa combinazione di lavoro a casa e presenza in classe. Secondo una recente indagine della Fondazione Agnelli e Crenos-Università di Cagliari, a giudizio dei presidi più un quarto dei docenti necessita di formazione nella digitalizzazione e nella Dad. In specie, il 40% non è formato nell’utilizzare nuove metodologie di didattica e di valutazione, nella interdisciplinarietà dell’insegnamento e nell’impiego di strumenti digitali di indagine ed informazione.

Il programma del Pnrr dovrebbe servire a coprire questi deficit in più anni, ma nel frattempo il governo ha annunziato l’assunzione a tempo indeterminato di 112.473 docenti senza sottoporli a selezione per accertarne le competenze nei campi in cui si riscontrano le più ampie carenze per rinnovare l’insegnamento. Si fa piuttosto uso di passate graduatorie e di quelle ad esaurimento senza verificare la rispondenza ai fabbisogni d’innovazione.

L’esigenza di coprire posti vacanti fa premio sulle esigenze di selezionare le competenze più adeguate: quindi, alla scarsa selettività degli esami di maturità sembra che ne corrisponda una analoga per i docenti. Nelle intenzioni, si procederà successivamente ad aggiornare le loro competenze alla nuova didattica, ma probabilmente come nel passato non vi saranno effettive verifiche della loro capacità di applicare i nuovi metodi, né vi saranno conseguenze nei casi di scarsa performance.

Rimane, quindi, la tendenza a perpetuare un sistema non in linea con i tempi. Il disallineamento si estende ai programmi di insegnamento, che nel Pnrr non appaiono l’oggetto di una radicale ristrutturazione per andare incontro alle nuove esigenze della società e dell’economia. Un sistema d’istruzione dominato da una classe di docenti formata nel passato ben difficilmente può produrre una rottura col passato per avanzare verso modelli d’insegnamento nuovi nei contenuti e nelle modalità. In questa scelta si ripropone la vecchia diatriba tra chi sostiene che la scuola debba dare solo una formazione di base multidisciplinare e chi vorrebbe che fosse più funzionale ai bisogni del mondo produttivo e della società.

A questi punti di riferimento si è aggiunta l’esigenza di interdisciplinarietà, che è diversa dalla multidisciplinarietà e che non consiste nel semplice coordinamento tra insegnamenti diversi, ma nella loro integrazione nello stesso insegnamento ed apprendimento. Pertanto, nella nuova visione occorre andare verso un diverso modello sia di docente, sia di discente che ha raggiunto la “maturità”.

L’attuale governance del sistema può costituire un freno a tale avanzamento, in quanto coinvolge soggetti con interessi diversi: locali, regionali, nazionali, di parte docente come delle famiglie degli studenti, di forze politiche con visioni alternative del futuro della società, oppure orientate su contingenti interessi a ingrandire il loro consenso sociale. Mediare tra una pluralità di posizioni difformi comporta sovente compromessi verso il basso, che finiscono col confinare al margine i cambiamenti e perpetuare il modello del passato. È, invece, necessaria una grande volontà di riforma per avanzare da un’istruzione finalizzata a ottenere un titolo di studio da far valere al momento delle assunzioni a una mirante a far acquisire allo studente apprendimenti utili per edificare il proprio futuro di lavoro.

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