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Sicurezza e non solo. Gli occhi Usa sulla Libia pensando al voto

Funzionari militari e diplomatici sono stati in visita a Tripoli per parlare sostanzialmente di sicurezza, ma anche del futuro del Paese dopo le elezioni del 24 dicembre che gli Usa vogliono celebrare

Tra i vari team di sminatori che si stanno addestrando in Iowa con l’esercito statunitense ci sono anche due rappresentanti libici. Stanno imparando tecniche per migliorare la loro capacità di eliminare gli ordigni inesplosi. L’hinterland meridionale di Tripoli ne è infestato, perché le forze del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, hanno minato quei quartieri ai tempi in cui cercavano da sud di dare l’assalto definitivo alla città e rovesciare il precedente governo onusiano. Molte di queste mine sono di fabbricazione russa e i dispositivi esplosivi piazzati tra i quartieri di Tripoli sono del tutto simili a quelli visti in Ucraina: qualcosa che fa supporre che potrebbero essere stati costruiti dagli uomini della Wagner, la grande società di contractor russi sul cui capo pende una taglia dell’Fbi anche perché spesso usata dal Cremlino per compiere il lavoro sporco. La Wagner è ancora dispiegata tra il centro e l’est della Libia per operazioni clandestine, e ha aiutato Haftar nel suo tentativo di prendersi il paese con la forza. Mosca nega ogni genere di coinvolgimento.

In questi giorni il tema sicurezza è stato al centro delle questioni che connettono Tripoli a Washington, a conferma che questa è la dimensione privilegiata dell’interesse americano al dossier, con il tema che spesso è anche usato come una scusa per tenere contatti a distanza ma seguire più ampi processi in corso. Il comandante dell’Africom, il generale Stephen Townsend, ha accompagnato due giorni fa nella capitale libica l’inviato speciale del dipartimento di Stato, l’ambasciatore Richard Norland, per incontrare i vertici delle istituzioni locali. Hanno avuto riunioni sia con il capo del Consiglio presidenziale, Abdullah al Lafi, sia con il premier Abdelhamid Dabaiba, sfiduciato dal Parlamento ma facente funzione per conto del Foro promosso dall’Onu (come al Lafi) col compito di portare il Paese verso le elezioni – che sono state fisse dalla missione speciale delle Nazioni Unite, Unsmil, per il 24 dicembre. Gli Stati Uniti vogliono il voto, perché credono – come sottolineato su queste colonne dall’analista Daniele Ruvinetti, senior analyst della Fondazione Med Or – che istituzioni elette dal popolo possano avere più forze nel gestire la ripresa del Paese.

Il punto è questo: in Libia sono presenti forze militari straniere sotto forma ufficiale (poche unità turche) e clandestina (i contractor russi, quelli siriani spostati dalla Turchia, quelli ciadiani e sudanesi mossi dagli Emirati Arabi). Queste presenza armata sia in Tripolitania che in Cirenaica complica la situazione, perché mentre il confronto politico si infuoca, il rischio è sempre che si riparta con la violenza e l’uso delle armi. Washington sa che potrebbe dare maggiore supporto politico e diplomatico a un governo eletto, e potrebbe aiutarlo a risolvere l’uscita dal Paese dei combattenti stranieri – che per gli Usa è una problematica di carattere tattico-strategico, in quanto quelle forze si trovano in mezzo al Mediterraneo, area da cui dovrebbero invece essere escluse secondo il pensiero americano. Di questo i funzionari statunitensi hanno parlato anche con il Comitato 5+5, la commissione militare Est-Ovest che tiene insieme il cessate il fuoco.

“Come abbiamo discusso, le elezioni del 24 dicembre segneranno anche un passo fondamentale verso un governo nazionale stabile e unificato con un mandato degli elettori libici. Gli Stati Uniti continueranno a lavorare per sostenere la piena attuazione dell’accordo di cessate il fuoco, compreso il ritiro di tutte le forze e combattenti stranieri in conformità con i desideri del pubblico libico”, dice la nota di Africom. Se da un lato gli Usa sembrano interessati a far passare il messaggio che la Libia è ancora un territorio per loro importante in termini di sicurezza, anche dalla voce di chi parla – nel caso la branca del Pentagono che copre l’Africa – dall’altro nei contenuti si affrontano questioni più larghi. Washington si sta preparando al dopo elezioni anche attraverso attività laterali, come per esempio il panel che il dipartimento di Giustizia ha promosso con l’Atlantic Council per trattare un tema delicato, le fosse comuni trovate in alcune zone della Libia lo scorso anno. Si è parlato di aspetti specifici e in generale di accountability della giustizia libica, parte delle riforme che il futuro governo si troverà da affrontare.

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