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Il successo di Draghi al G20 sull’Afghanistan. Scrive l’amb. Marsilli

Di Marco Marsilli

Il presidente Draghi ha avuto l’indubbio merito di mantenere all’attenzione mondiale un dossier che potrebbe risentire di una certa rassegnazione al fatto compiuto. Ha ragione nel caratterizzare il summit come “prima risposta multilaterale alla crisi in Afghanistan”. L’analisi dell’ambasciatore Marco Marsilli, consigliere scientifico della Fondazione Icsa, già rappresentante permanente presso il Consiglio d’Europa e direttore centrale alla Farnesina per le questioni globali e i processi G8/G20

Le “riserve” schierate dalla Cina popolare (ministro degli Esteri) e dalla Federazione russa (vice ministro degli Esteri) in sede di G20 straordinario sull’Afghanistan svoltosi in data 12 ottobre a Roma in forma virtuale, non devono costituire per la presidenza italiana del Gruppo un motivo di eccessivo rincrescimento o delusione. Innanzitutto perché l’assenza dagli schermi di Xi Jinping e di Vladimir Putin era ampiamente prevista; il primo è dato dopo tutto assente anche dal vertice istituzionale in presenza di fine ottobre, si sospetta anche per rinviare il primo contatto diretto con Joe Biden, che vi ha invece confermato la presenza.

Sui rapporti con le nuove autorità centro asiatiche, le posizioni di quelle due capitali sono ancora distanti da quella che sembrerebbe costituire una sorta di “communis opinio” del Gruppo. All’atto pratico, quest’ultima si traduce nel non riconoscimento internazionale del regime talebano in mancanza di oggettivi progressi in materia di affermazione dei “diritti” della popolazione e, in parallelo, di rifiuto altrettanto incontrovertibile del terrorismo.

Come noto, Pechino e Mosca si dichiarano invece convinte sostenitrici del principio della “non interferenza” negli affari interni di Kabul, ciò che le porta a considerare come legittimo l’attuale governo afghano, nonostante esso sia stato costituito senza tener conto di un minimo di rappresentatività, politica, territoriale e di genere. Da questo punto di vista sarà interessante constatare sino a che punto, in tale fuga in avanti, i russi si spingeranno, ricevendo a Mosca il 20 ottobre gli emissari dei Mullah (i partecipanti e il formato dell’ incontro, che sembrerebbe strettamente bilaterale, non sono ancora noti).

Ritornando al vertice fortemente voluto dal presidente Mario Draghi, un motivo di soddisfazione è rappresentato dagli importanti risultati raggiunti, in particolare i sostanziosi aiuti finanziari accordati all’Afghanistan e agli Stati con esso confinanti da Unione europea (1 miliardo di euro) e Stati Uniti (300 milioni), nonché il mandato affidato alle Nazioni Unite di coordinare l’assegnazione di tali stanziamenti, avvalendosi della collaborazione delle altre istituzioni multilaterali a loro volta video collegate con Palazzo Chigi (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) e delle Ong presenti sul territorio. Una particolare cura va, ovviamente, riposta nell’ evitare di coinvolgere in tali operazioni le entità pubbliche afghane, al fine di evitare che i fondi assumano una diversa (e per i paesi donatori decisamente inaccettabile) destinazione.

Come opportunamente sottolineato dal nostro presidente del Consiglio in sede di conferenza stampa finale, il messaggio – nel suo complesso positivo – del G20 è stato soprattutto indirizzato a evitare quella catastrofe umanitaria che, in mancanza di contromisure idonee, l’inarrestabile impoverimento della popolazione afghana e l’annunciato collasso di quel poco di sistema bancario tuttora funzionante nel Paese avrebbe necessariamente portato con sé. Al raggiungimento di tali obiettivi é collegabile la condivisa preoccupazione per la realistica ipotesi di ulteriore, consistente incremento del flusso emigratorio in uscita da Kabul, secondo una valutazione che ha spinto il presidente turco Recep Erdogan a prospettare l’istituzione in sede G20 di un apposito tavolo ad hoc, una proposta giudicata come interessante ma meritevole di approfondimenti prima di una eventuale implementazione.

In conclusione, il presidente Draghi, che ha avuto l’ indubbiò merito di mantenere in agenda e dunque all’attenzione mondiale un dossier che potrebbe risentire di una certa rassegnazione al fatto compiuto, ha ragione nel caratterizzare il summit come “prima risposta multilaterale alla crisi in Afghanistan”. Quanto precede, una volta introdotto il distinguo (di non secondaria rilevanza) che due attori fondamentali quali Cina e Russia ritengono, almeno per ora, di giocare la stessa partita su una scacchiera diversa e con regole proprie.

Per ammissione generale una qualche forma di contatto con gli esponenti Talebani si presenta come imprescindibile. Sia Stati Uniti sia Unione europea hanno confermato la conosciuta “piazza” di Doha (non a caso il Qatar è risultato uno dei pochissimi “non G20” invitati, nonché l’unico arabo) quale sede per lo svolgimento dei colloqui. Se, anche come conseguenza degli stessi, una “roadmap afghana” andrà giustamente tracciata lungo l‘ arco dei prossimi mesi, non è – a mio avviso – con l’alleggerimento delle note pre-condizioni per il riconoscimento del regime di Kabul (si veda articolo dell’8 settembre) che da parte dell’Occidente si terrebbe conto dell’interesse di quella martoriata popolazione all’ottenimento di condizioni di vita almeno prossime a quelle che il secolo in cui viviamo è in grado, almeno in prospettiva, di offrire.

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