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Transizione ecologica, energie rinnovabili e il coraggio della prudenza

Di Lorenzo Bona

Distogliere risorse dal mercato a favore di iniziative non del tutto coerenti rispetto ai traguardi essenziali per avere un pianeta pienamente in salute e prospero potrebbe comportare il rischio di un rallentamento dello sviluppo economico che, a sua volta, potrebbe generare interferenze imprevedibili. L’intervento di Lorenzo Bona del Gruppo dei 20

Recentemente si è ripreso a parlare con un certo vigore dei rischi e dei pericoli per il nostro pianeta legati al cosiddetto riscaldamento globale. Si sente dire da più parti, come è avvenuto anche in connessione alla conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Glasgow conclusasi i giorni scorsi, che per minimizzare tali rischi e pericoli servirebbe una rapida svolta da orientare verso la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e una forte accelerazione a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili, come possono essere quella eolica e quella solare.

Si tratta di un tipo di sollecitazione importante. Che forse, in un’ottica orientata ad una sua concreta e non tardiva attuazione, potrebbe essere accolta in almeno due modi largamente convergenti. Da un lato positivamente: perché l’inquinamento non piace a nessuno, e allargare la gamma delle opzioni disponibili per la produzione di energia e per una minore dipendenza della nostra società dai combustibili fossili non può che essere cosa utile per l’economia mondiale e le singole economie nazionali. Da un altro lato e in via parallela, quel genere di sollecitazione potrebbe richiedere risposte che puntano a progressi significativi a favore della salvaguardia delle risorse del pianeta, in modi che allo stesso tempo possano essere anche riconducibili ad ampi orientamenti strategici da basare, con un certo coraggio, su atteggiamenti di calma e prudenza.

Al riguardo si potrebbe, ad esempio, ricordare che molte argomentazioni a sostegno di una rapida svolta o veloce transizione verso una “green economy” sembrano ruotare attorno alla prospettiva suggestiva dello sviluppo sostenibile, secondo cui l’utilizzo delle risorse disponibili deve andare incontro ai bisogni correnti senza ridurre la capacità delle prossime generazioni di dare soddisfazione ai propri bisogni. L’attenzione di tale prospettiva si concentra specialmente attorno alle risorse naturali, come l’aria e l’acqua, in quanto una loro cattiva gestione potrebbe tradursi in gravi difficoltà in futuro per l’ambiente naturale e le persone.

In questo senso imboccare un cammino verso un potenziamento della produzione di “energia pulita”, come si è accennato, appare un piano di condotta saggio e vantaggioso, sempre che non sia frutto di decisioni eccessivamente affrettate.

Non solo perché, se mal calcolato, ogni sforzo teso a ridurre o disincentivare le emissioni di gas inquinanti potrebbe avere spiacevoli contraccolpi soprattutto sulle fasce economicamente più fragili della popolazione, a seguito del probabile aumento dei costi energetici.

Ma anche perché uno dei problemi maggiori connessi all’obiettivo di trasmettere alle future generazioni  un set di risorse volto a fornire un livello di benessere non inferiore a quello corrente sembra legarsi alla difficoltà di conoscere con esattezza quale debba essere oggi ‘il corretto’ utilizzo di queste risorse e quali possano essere i desideri di chi verrà.

Inoltre, questa sorta di vuoto conoscitivo – che a ben guardare pare riflettere l’assenza di una completa e condivisa comprensione delle relazioni tra crescita economica ed effetti indesiderati ad essa riconducibili – sembra anche spingere la nostra società verso logiche comportamentali e interazioni sociali di dubbia lungimiranza.

Ad esempio, con una certa frequenza pezzi della società che punterebbero alla tutela degli interessi delle generazioni future sembrano esprimere sentimenti di frustrazione verso gli attuali modelli di crescita e sviluppo economico, senza però riuscire al contempo a proporre modelli socio-economici alternativi più convincenti e chiaramente vantaggiosi per tutte le persone. Da un altro lato, a volte si ha l’impressione di essere davanti ad un’azione pubblica che, per provare a contrastare la diffusione di tali sentimenti di frustrazione, appare spesso tradursi in un via libera a misure e investimenti temporanei di tipo emergenziale e discrezionale contro quelli che di volta in volta possono essere percepiti come effetti indesiderati del modo in cui si manifesta la crescita e lo sviluppo economico.

La salvaguardia degli ecosistemi naturali e degli interessi delle prossime generazioni rappresenta senza dubbio una priorità per tutti noi. Ma l’emersione di dinamiche sociali come quelle a cui si è accennato potrebbe aggrovigliare ulteriormente, anziché contribuire a sbrogliare, la matassa complicazioni attorno a cui si sta ragionando.

Poiché tutto ha un costo, verrebbe da pensare che dinamiche simili a quelle illustrate possano rivelare una spiccata tendenza a tradursi in un mercato con meno risorse economiche per l’innovazione e/o in una minore capacità della società di avviare o implementare programmi proiettati ad una conoscenza piena e condivisa dei fattori all’origine degli effetti indesiderati del modello di crescita economica attualmente esistente.

In altre parole e forse in termini più generali, distogliere risorse dal mercato a favore di iniziative non del tutto coerenti rispetto ai traguardi essenziali che tutti noi vorremmo raggiungere per avere un pianeta pienamente in salute e prospero potrebbe comportare il rischio di un rallentamento dello sviluppo economico che, a sua volta, potrebbe generare interferenze imprevedibili e inintenzionali su quel “bagaglio” di capitali e conoscenze indispensabile a famiglie e imprese, e soprattutto alle generazioni future, per affrontare al meglio ogni nuova eventuale sfida che potrà presentarsi un domani.

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