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Reporter rinchiusi o espulsi. La fine del giornalismo in Cina

Restrizioni sui visti, uso arbitrario delle restrizioni Covid-19, intimidazioni, minacce e non solo: le tattiche di Pechino per costringere i corrispondenti a “raccontare bene la Cina”. Il rapporto del Foreign Correspondents Club of China

“Interviste annullate, cacciato dalle città nelle aree tibetane del Sichuan dalla polizia, detenuto a Chengdu. E non solo per storie delicate. È diventato impossibile fare giornalismo in Cina”. È una delle tante testimonianze dirette incluse nell’ultimo rapporto annuale del Foreign Correspondents Club of China appena pubblicato, “Locked Down or Kicked Out covering China”. Il documento presenta un resoconto straziante dell’incessante repressione della stampa e dei giornalisti stranieri nella Repubblica popolare cinese e a Hong Kong, con “ostacoli governativi senza precedenti per bloccare e screditare i giornali indipendenti”.

Restrizioni sui visti, uso arbitrario delle restrizioni Covid-19, intimidazioni, minacce ai familiari e colleghi, molestie fisiche, doxing, sorveglianza e divieti di uscita sono solo alcune delle tante tattiche impiegate dallo Stato per costringere i corrispondenti esteri, il personale locale e le loro fonti a conformarsi al mantra del “raccontare bene la Cina”.

A pochi giorni dell’apertura dei Giochi invernali di Pechino 2022, i corrispondenti fanno notare come l’approccio della Cina ai giornalisti stranieri è in diretto contrasto con le sue stesse politiche dichiarate per i media stranieri e lo spirito olimpico di eccellenza, amicizia e rispetto.

Il Covid-19 è stato utilizzato frequentemente dalle autorità per ritardare l’approvazione di nuovi visti per giornalisti, interrompere i loro viaggi e rifiutare le richieste di interviste. Una tattica che continua in vista di Pechino 2022: in un travel advisory in cui avvertono senza mezzi termini i colleghi corrispondenti che ogni loro movimento e attività telematica sarà soggetto a sorveglianza, lo stesso Fccc nota come i media internazionali non hanno potuto partecipare a conferenze stampa e coprire la preparazione dei Giochi – come l’arrivo della torcia olimpica – per motivi tra cui l’obbligo di presentare test COVID-19 in un lasso di tempo impossibile.

Inoltre, il 62% degli corrispondenti intervistati ha affermato di essere stato ostacolato almeno una volta dalla polizia o da altri funzionari; l’88% dei giornalisti che si sono recati nello Xinjiang nel 2021 ha affermato di essere stato visibilmente seguito e più di un quarto degli intervistati ha affermato che le proprie fonti sono state molestate, detenute o interrogate dalla polizia più di una volta.

“Una donna con cui avevamo chiacchierato amichevolmente, all’improvviso ha fatto un gesto di rinchiudere la bocca, ci è passata davanti ed è corsa fuori dal suo negozio, letteralmente scappando dopo essere stata interpellata dagli uomini oscuri che ci seguivano”.

Secondo il rapporto, le autorità cinesi sembrano anche incoraggiare una serie di azioni legali o la minaccia di azioni legali contro giornalisti stranieri, in genere presentate da fonti molto tempo dopo che hanno esplicitamente accettato di essere intervistate. Nel frattempo, gli attacchi sostenuti dallo Stato contro giornalisti stranieri, in particolare con campagne di trolling online, favoriscono una crescente sensazione tra il pubblico cinese che i media stranieri sono il nemico, incoraggiando le molestie fisiche dei giornalisti sul campo.

Le tante testimonianze dettagliate dei giornalisti nel rapporto Fccc forniscono uno spaccato del pesante costo personale, imposto da quello che il Comitato per la protezione dei giornalisti ha definito il “peggior carceriere di giornalisti del mondo” nel suo ultimo sondaggio annuale.

Infatti, al titolo del rapporto Fccc sarebbe da aggiungere la parola “rinchiusi”: aumentano alla velocità della luce le sparizioni forzate e l’incarcerazione di giornalisti locali (e non) con il pretesto di mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Centoventisette i giornalisti attualmente detenuti nella Cina continentale e a Hong Kong secondo il rapporto del dicembre scorso di Reporters Without Borders.

Tra loro Zhāng Zhǎn, detenuta dal maggio 2020 e poi condannata a quattro anni di carcere per essere stata “litigiosa e provocatoria” nei suoi reportage da Wuhan. Nel novembre 2021, le procedure speciali delle Nazioni Unite hanno lanciato un appello per il suo rilascio immediato e incondizionato: “L’arresto e la detenzione di Zhāng Zhǎn e di una serie di altri cittadini giornalisti per il loro lavoro sullo scoppio del Covid-19 a Wuhan, una questione di vitale interesse pubblico, è profondamente preoccupante. Non solo rappresenta uno sforzo delle autorità per censurare informazioni nell’interesse pubblico, ma è una preoccupante misura di ritorsione volta a punire coloro che tentano di aggirare questa censura per condividere informazioni nell’interesse della salute pubblica”.

Altri attualmente scomparsi o in detenzione includono: Fāng Bīn, un altro giornalista cittadino che si era recato a Wuhan all’inizio del 2020; Chéng Lěi, cittadina australiana detenuta nell’agosto 2020 a causa del peggioramento delle relazioni tra Australia e Cina; e Haze Fan, membro di Bloomberg News a Pechino, arrestata un anno fa in circostanze poco chiare e la quale rimane tutt’ora in incommunicado.

Come accennato, lo stesso destino ora spetta a Hong Kong. Il rapporto 2021 della Fccc evidenzia la chiusura forzata del quotidiano pro democrazia Apple Daily e l’incarcerazione del suo proprietario Jimmy Lai e di cinque dei suoi massimi dirigenti nel primo semestre del 2021. Ma era solo l’inizio: “Mentre il 2021 volgeva al termine, sette editori e membri del consiglio dell’agenzia indipendente Stand News sono stati arrestati ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale. Citizen News, un altro canale indipendente che ha seguito da vicino le proteste anti estradizioni di Hong Kong del 2019, ha chiuso subito dopo per problemi di sicurezza”.

L’immagine dipinta dal rapporto della Fccc, opportunamente pubblicato appena prima dell’apertura delle Olimpiadi invernali di Pechino da cui molti corrispondenti sono stati esclusi, fornisce una straordinaria visione del dietro le quinte della propaganda e della macchina di censura della Repubblica popolare cinese. Due facce della stessa medaglia che portano il lettore dentro il clima di paura e oppressione che soffoca ogni libertà di espressione.

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