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Non solo venti di guerra. Cosa spinge la grande inflazione secondo Cdp

Non ci sono solo le tensioni al confine ucraino a soffiare sui prezzi delle materie prime. La colpa va data anche a certi fattori congiunturali e scelte discutibili, come il taglio alla produzione di greggio dei Paesi Opec. Ecco cosa pensano e scrivono gli economisti di Cdp

Quali fattori hanno portato al forte rialzo dei prezzi delle materie prime? Che ruolo giocherà la transizione energetica sui futuri fabbisogni della popolazione, italiana e non? E quali sono le prospettive per l’economia europea? Sono domande da porsi nei mesi in cui imprese e famiglie d’Italia e d’Europa tentano di sopravvivere a un’ondata di rincari, energia in testa, senza precedenti.

I calcoli, e le risposte, le ha provate a dare Cassa Depositi e Prestiti e il suo team di esperti.  I numeri, tanto per cominciare. Da aprile 2020 a dicembre 2021, gli incrementi dei listini delle materie prime “sono stati straordinari, sia per le materie prime energetiche, sia per quelle agricole e industriali: +1.692% il gas naturale, +108% l’olio di soia, +89% il rame”, si legge nell’analisi di Via Goito. Ora, le ragioni dei rincari sono riconducibili a fattori congiunturali, strutturali, geopolitici e speculativi.

“Tra i fattori congiunturali, c’è lo squilibrio tra domanda e offerta ma anche i tagli alla produzione del petrolio da parte dei Paesi Opec+, le condizioni climatiche estreme e altri eventi avversi”, spiega Cdp, mentre “tra le cause strutturali rientra il forte incremento della domanda delle commodities necessarie per il raggiungimento degli obiettivi connessi alla transizione ecologica”. Ma non è tutto, il possibile conflitto tra Russia e Ucraina è forse il vero motore dell’inflazione su scala planetaria.

Guardando ai fattori geopolitici “emergono il peso preponderante di pochi attori, nonché il verificarsi di alcuni eventi destabilizzanti che hanno rallentato le catene di fornitura globali. Infine, tra i fattori speculativi, va tenuto conto che numerose commodities fungono da asset finanziari e la speculazione finanziaria ha amplificato le pressioni al rialzo sui loro prezzi”. Insomma, un mix letale che rischia di lasciare l’Europa al freddo e al buio.

Poi c’è il problema dell’eterna dipendenza, di cui l’Italia è emblema. “In Europa la fornitura di gran parte delle materie prime critiche – come il rame, il nickel, il litio, il cobalto o il manganese – è soddisfatta da Paesi terzi: oltre il 98% delle terre rare dalla Cina, l’87% del litio dall’Australia, il 71% del platino dal Sudafrica. Un’opzione per l’Europa è quella di investire in innovazione, diversificare le forniture da Paesi terzi e rafforzare l’uso circolare delle risorse, al fine di garantire un approvvigionamento sicuro e resiliente delle materie prime. In particolare, l’Italia ha già un vantaggio competitivo, essendo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti raccolti”. Già, ma quando?

Perché, meglio essere chiari,  i soldi messi finora sul piatto dal governo, oltre 10 miliardi di cui quasi 7 solo ieri, tra azzeramento degli oneri generali e di sistema sul gas e spinta alle rinnovabili, non bastano. Non in questo momento almeno, quando per le imprese e le famiglie (in Italia il grosso delle aziende è a gestione familiare, dunque il legame impresa-famiglia è forte) si preannuncia una mazzata, calcoli della Cgia di Mestre, di quasi 34 miliardi nel primo semestre.

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