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Per fare un partito ci vuol coscienza. Ceri sulle crisi (post) grilline

L’elemento-base dei 5 Stelle era l’opposizione: contro il sistema, l’establishment politico-partitico. L’identità definita di riflesso: in quanto alieni al sistema, siamo gli onesti, i non-corrotti. Ma era un’identità fragile e illusoria. Cosa resta di quel Movimento, e come nasce quello di Di Maio, secondo Paolo Ceri, già ordinario di Sociologia all’Università di Firenze e autore de “Il Movimento nella rete”

Constatare lo stato di crisi terminale dei Cinque Stelle non equivale a capirne la natura. Un contributo può venire dal ricorso a una categoria classica della sociologia: la coscienza collettiva. Quale insieme di valori, simboli, rappresentazioni e modelli di comportamento comuni ai membri di un gruppo sociale, la coscienza collettiva si struttura secondo tre elementi: identità, opposizione, totalità (o progetto). Vi corrispondono le risposte che nel suo agire il gruppo dà a tre questioni: chi siamo, contro chi lottiamo, per cosa operiamo.

In questa prospettiva conta considerare come la coscienza del M5S sia mutata nel corso della sua vita. Non potendo seguire il film della sua storia lunga 17 anni, bastino qui due “diapositive”, relative alla fase movimentistica e alla fase governativa.  Impostate fin dall’origine da Grillo e Casaleggio, le componenti della coscienza comune agli attivisti, ai militanti e poi agli eletti si strutturano già nell’autunno 2005 con la campagna “Parlamento pulito” e, ancor più, con il “Vaffa Day” dell’8 settembre 2007.

Appare con tutta evidenza come l’elemento-base sia quello dell’opposizione: si è contro il sistema, soprattutto contro l’establishment politico-partitico, ritenuto cronicamente corrotto. L’identità è definita di riflesso: in quanto alieni al sistema, siamo gli onesti, siamo cioè i non-corrotti. E’ come se, per fare un solo esempio, il movimento operaio, in lotta contro gli sfruttatori, invece di definirsi come il movimento dei produttori, si fosse definito come il movimento degli sfruttati. Insomma, un’identità definita a contrario è un’identità fragile, quando non illusoria. Quanto al terzo elemento, la totalità (oggi si usa dire la visione: pour cause nel caso di Casaleggio), consiste sostanzialmente nella democrazia diretta, rappresentata come partecipazione decisionale ma in realtà concepita come una sua riduzione referendaria.

Se il combinato disposto di un’identità costitutivamente oppositiva e di una democrazia più direttiva che diretta può favorire in una particolare congiuntura, come nel 2018, il successo elettorale, fin dall’inizio sottopone il collettivo a manipolazione e lo dispone ad ambiguità di azione.  Basti rievocare, qualche esempio: lo statuto titolato non-statuto, il partito dichiarato non-partito, la selezione dal basso ispirata all’ideale del sorteggio, il rappresentante eletto inteso come delegato-soldato, il taglio dei parlamentari facilitante scelta e controllo interno degli eletti, né di destra né di sinistra come alibi pigliatutto.

Alla luce di queste caratteristiche a lungo operanti, ci possiamo chiedere quale sia oggi lo stato della coscienza collettiva del M5S. Ebbene, essa è debole e ristretta, poiché l’istituzionalizzazione politica e la partecipazione in sequenza a tre alleanze governative diversamente colorate hanno reso gli elementi identitari-oppositivi screditati e incerti, nel mentre il progetto di democrazia diretta – affidato all’esterno ai disegni personali di Casaleggio Jr. – all’interno è ridotto a un rituale simulacro.

Se poi ci chiediamo quale coscienza collettiva, vale a dire comune, s’intraveda nell’aggregato dei fuoriusciti autonominatosi “Insieme per il futuro”, si può soltanto dire che, contrariamente alla creazione grillina propulsa tramite elementi di opposizione identitaria, essa poggia su una coppia di elementi di totalità: valori euro-atlantici e governabilità. Per quanto rilevanti, in assenza degli elementi identitario e oppositivo essi sono insufficienti come cemento di un soggetto collettivo; ancor più lo sono se si considera il carattere astratto, più metodologico che normativo della governabilità, e se il riferimento ai valori viene usato come un ombrello ideologico di appartenenza.

Ciò è detto senza tener conto dei motivi e dei calcoli personali dei parlamentari fuoriusciti dal M5S – motivi e calcoli atti a rendere l’insufficienza tanto più acuta, quanto più risultano individualizzati. Insomma, anche nell’età dei partiti personali non basta un leader a fare un partito.

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