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Xi ha tradito le promesse su Hong Kong. Parla l’ultimo governatore britannico

Venticinque anni fa l’isola passava sotto il controllo cinese. Lord Patten ricorda il viaggio d’addio sul panfilo Britannia e invita le democrazie a non abbassare la guardia

Chris Patten, Lord Patten di Barnes, parla con Formiche.net e altre testate internazionali da Oxford, dov’è rettore della prestigiosa università. Ricorda l’addio, un quarto di secolo fa, a Hong Kong e si commuove spesso.

Il 1° luglio 1997 per Hong Kong è stato il giorno del trasferimento della sovranità dal Regno Unito alla Repubblica popolare cinese. Per lui, che non è un diplomatico di carriera, chiamato a gestire il passaggio in qualità di ultimo governatore britannico dopo 156 anni di dominio, è stato l’addio dopo cinque anni all’isola e agli amici – per quelli cinesi è Pang Ding-hong, un nome la cui etimologia si basa sulle parole stabilità e calma. Ma soprattutto, è stato l’inizio della fine delle illusioni.

Il leader cinese Xi Jinping è arrivato nell’ex colonia britannica per l’anniversario. È la sua prima visita fuori dal territorio della Cina continentale da quando è scoppiata la pandemia di Covid-19. “I fatti hanno dimostrato che il modello di un Paese a due sistemi ha dato prova di grande vitalità”, ha detto. “Negli ultimi due anni ci sono state alcune turbolenze, ma il modello è stato riportato a nuova vita ed è quello che può assicurare la prosperità e la stabilità sul lungo termine”.

Sono i concetti in nome dei quali quei diritti con cui Hong Kong si presentava nel 1997 – libertà politiche, di parola ed elezioni locali democratiche – sono stati cancellati in questo quarto di secolo. In base al principio “un Paese, due sistemi” le libertà della città sarebbero state preservate per i 50 anni dopo il trasferimento di potere avvenuto con una cerimonia a cui parteciparono il leader cinese Jiang Zemin e il principe Carlo, in rappresentanza della regina Elisabetta II, assieme al primo ministro britannico Tony Blair. Ma alcune mosse controverse di Pechino, culminate con la stretta repressiva della Legge sulla sicurezza nazionale con cui due anni fa è stato messo al bando tutto ciò che è considerato “secessione” o “sovversione” del potere di Pechino, hanno sancito la fine anticipata di quell’equilibrio.

Patten, che oggi ha 78 anni, si dice convinto che il Regno Unito avrebbe potuto fare ben poco nel periodo precedente al 1997 per evitare la recente svolta repressiva di Hong Kong che lui imputa soprattutto a Xi. Le sue parole assumono un peso ancor maggiore se si pensa che durante i cinque anni da governatore si era distinto per una serie di programmi di welfare e di riforme per democratizzare il sistema elettorale.

Quando critica Pechino, precisa: “Il regime comunista cinese, non la Cina”. È Pechino che “non ha mantenuto la parola a Hong Kong. E dobbiamo ricordarcelo”, perché non dobbiamo abbassare la guardia e “costringere la Cina” a seguire le regole e gli accordi internazionali. “È una lezione per tutti gli Stati, anche per il Vaticano, e per le aziende”, continua.

La delegazione britannica salutò Hong Kong sul panfilo Britannia, lo stesso che cinque anni prima aveva ospitato il famigerato convegno sulle privatizzazioni in Italia. Con Patten e la moglie Lavender, c’era il principe. “Affascinante, gentile, cortese, divertente”, racconta l’ex governatore nel suo ultimo libro, The Hong Kong Diaries, in cui riflette sulle pugnalate alle spalle e le trattative ai ferri corti con la Cina che hanno portato alla svolta di 25 anni fa. L’erede al trono ha trascorso parte del viaggio a dipingere e parte a leggere poesie di Rainer Maria Rilke. A bordo c’era anche l’attuale ambasciatore britannico in Italia, Edward Llewellyn, allora trentaduenne e già al tempo uno dei più fidati consiglieri del governatore. Figlio di un ufficiale della Marina, sul Britannia gli spiegò che un buon orecchio medio era probabilmente la spiegazione al suo non patire il brutto tempo, a differenza di buona parte delle persone sul Britannia in quei giorni.

L’addio britannico a Hong Kong fu accompagnato dalla Royal Navy con fregate, pattugliatori, navi ausiliarie, un sottomarino nucleare e la portaerei leggera Illustrious – “le navi dei servizi segreti cinesi che ci avevano seguito a distanza da Hong Kong devono essere rimaste sbigottite” –, poi elicotteri e caccia Sea Harrier. Due giorni e mezzo di navigazione, infine l’arrivo a Manila giovedì 3 luglio, appena dopo pranzo. L’atmosfera sul panfilo, un’elegante nave d’epoca, quella da fine di un’era. “Grandi colazioni, deliziosi Bloody Mary, pranzi freddi, Sancerre, torta di frutta, Martini Dry, buon Claret e una compagnia eccellente”, racconta Lord Patten nel volume.

Un’era che il regime comunista cinese ha cancellato. “La Cina mi ha reso invisibile”, ha scritto Patten nei giorni scorsi su Project Syndicate e ribadisce con dolore in questa conversazione. Il Partito comunista cinese ha bandito tutti i libri di testo scolastici che potrebbero raccontare la verità sul passato democratico di Hong Kong e sulle sue aspirazioni. D’altronde, Pechino fa sempre più spesso ricorso al nazionalismo come collante sociale tra l’ideologia governo, il comunismo, e la realtà economica. “È arrivato persino a negare che Hong Kong sia mai stata una colonia britannica; a quanto pare, era semplicemente un territorio occupato”, lamenta Patten. “Niente colonia significa niente governatore”.

Riscrivere la storia è un vizio di Xi, dice Patten parlando in videoconferenza, con un abito chiaro, un fiocco con i colori dell’Ucraina nel bavero della giacca. Lo sta facendo, spiega, anche in questi mesi per aiutare un amico, il leader russo Vladimir Putin, dopo l’invasione dell’Ucraina, con i media cinesi che la definiscono un atto difensivo davanti alle minacce della Nato. È suo “complice”, continua. Un’altra lezione per le democrazie. Ma dal conflitto ne arriva una anche per la leadership cinese: “Non può guardare all’Ucraina e pensare che in caso di invasione Taiwan il mondo guardi dall’altra parte”.

Il libro di Patten si conclude con due frasi nette: “Ciò che il regime comunista cinese ha fatto” a Hong Kong “è sbagliato e malvagio. Dobbiamo dirlo chiaramente”. Affinché non si ripeta altrove.

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