La reincarnazione come metafora del cambiamento, il ruolo delle proprie radici nel tempo, che corre attraverso 400 anni e tantissimi luoghi del mondo, ma anche “storia di immigrazione. Di due migranti che sono passati da un Paese all’altro, fino a giungere in Israele”. Conversazione con Roy Chen, scrittore e drammaturgo israeliano, autore di “Anime”, il suo primo romanzo pubblicato in Italia da Giuntina
Non è un periodo storico facile, questo. La comunicazione, l’informazione sono veloci e vengono fruiti altrettanto velocemente da ognuno di noi. Ma la vita dopo la pandemia sta prendendo pieghe nuove, c’è una consapevolezza diversa, anche nell’uso dei mezzi di comunicazione. Ed è questo il primo pensiero che si ha prendendo in mano il romanzo “Anime” di Roy Chen, pubblicato da Giuntina. Si ha la sensazione che non solo si possa prendere tempo per noi nel leggerlo, ma anche di abbracciare intere culture, interi pensieri, riflessioni non scontate su domande dell’esistenza della vita che meritano di essere valutate senza alcuna fretta.
Roy Chen, scrittore, traduttore e drammaturgo israeliano, classe 1980, vive a Tel Aviv, ha imparato da solo il russo, diventando anche traduttore di Puskin, Gogol, Dostoevskij, Cechov per dirne soltanto alcuni. Dal 2007 è il drammaturgo stabile del Teatro Gesher, uno dei più importanti teatri israeliani, e ha dato vita a un libro affascinante sia per la storia sia per la struttura.
Un romanzo a metà tra lo storico e il surreale, dallo stile teatrale ricco di immagini e dialoghi serrati, “Anime”, tradotto di Shulim Vogelmann e Bianca Ambrosio, è un libro che non può lasciare indifferenti. Perché, come dice Chen stesso, che sarà in tour in Italia a fine novembre per presentare il volume, non ci sono temi di cui non si può parlare.
Da dove nasce l’idea del romanzo “Anime”?
L’idea nasce 16 anni fa, quando è nato mio figlio. È un romanzo che ho scritto per 5 anni. La prima pubblicazione in Israele è del 2020. L’idea principale era, riferito a mio figlio, da dove vieni? Che cosa hai portato con te? Siamo tabula rasa e non abbiamo niente con noi quando nasciamo o arriviamo con qualcosa? Hai tutto il tuo passato con te, con conseguenti successi-malattie-problemi o niente? Quando diventi genitore hai nuove responsabilità, e ho cominciato a pensare che cosa portiamo con noi al momento della nascita. Di conseguenza mi ha affascinato molto l’idea della reincarnazione, perché il concetto che c’è qualcuno che ci guarda dal cielo e, se sbagliamo l’esame della nostra vita, abbiamo un’altra possibilità non è poi così male. Non sono credente-praticante, ma ritengo che questo sia un concetto molto ottimistico. Pensare che siamo già stati qui e ci saremo di nuovo dopo la morte, e nella prossima vita ci potremo rivedere è stato per me anche uno strumento letterario per parlare dei cambiamenti estremi e di questo protagonista che non riesce ad accettarli questi cambiamenti. Per lui essere un adulto vuol dire che l’infanzia non solo è finita, ma è morta. Il mondo della sua infanzia è morto. In fondo noi siamo nati senza cellulari, quel mondo non esiste più e forse non esisterà mai più. Se volevamo parlare con qualcuno o telefonavamo o lo incontravamo di persona. Quel mondo non esiste più. Per Grisha, la sua infanzia, non è importante se parliamo di 30-40 o 400 anni fa, è per lui il passato che non ci sarà più. La reincarnazione mi è piaciuta proprio come metafora dei cambiamenti.
Ci sono più piani temporali e narrativi nel romanzo, con un filo conduttore che sono le anime a cui i due narratori si rivolgono. Perché proprio le “anime”, chi sono?
Grisha in questa vita decide di fare una cosa che non ha fatto mai: scrivere un libro, le sue memorie di tutti questi 400 anni. La sua anima gemella non è con lui ora, eppure nelle altre vite l’aveva trovata sotto varie forme. Il libro è la testimonianza del suo viaggio nel mondo, in un momento in cui si sente molto solo. In fondo forse la sua anima gemella lo leggerà, pensa, e si incontreranno di nuovo. “Care anime”, dice Grisha rivolgendosi ai lettori. E a quelle stesse Anime si rivolge anche l’altra protagonista, cioè la mamma Marina, che entra nel romanzo e parla direttamente a chi legge dicendo: “Ragazzi, non date retta a mio figlio che racconta solo bugie!”. Questo è sì un romanzo storico-teatrale con molti piani appunto temporali e narrativi, ma d’altra parte è anche una storia piccola. Di due anime: mamma e figlio, un piccolo appartamentino qui e adesso. E se mettiamo da parte la reincarnazione per un attimo, Anime è una storia di immigrazione. Di due migranti che sono passati da un Paese all’altro, fino a giungere in Israele, che è un po’ un Paese composto da quasi tutti migranti. Ognuno ha una storia che proviene da un altro luogo, da un’altra lingua, da altri rituali, da altre vite.
Oltre al tempo abbiamo detto anche piani narrativi diversi a seconda delle ambientazioni della storia. Come è riuscito a mettere a punto un lavoro di scrittura complesso, che risulta però fluido alla lettura?
Quando ho cominciato a scrivere ero spaventato su come poter affrontare soprattutto la parte di romanzo storico, e così Marina mi ha salvato. Ho inventato un personaggio che dice ai lettori che questo scrittore non sa scrivere un romanzo storico, non ne sa nulla…(ride, ndr). Questo mi ha fatto sentire libero. La verità però è che per portare a termine questo libro ho fatto molta ricerca. Sono passato per i vari luoghi, per esempio per il cimitero ebraico di Venezia, luogo davvero magico. La luce che c’è dentro questo cimitero mi ha fatto immediatamente credere di essere in un altro secolo. Dal Seicento al Settecento, all’Ottocento sembrava di essere lì in quel tempo. Era davvero spettacolare.
Un viaggio fra Chorbitza, poi Venezia, Fes e Dachau. Che legame c’è fra questi luoghi per lei?
Questi luoghi non sono affatto scelti per caso, sono le mie radici e la mia identità. Israele rappresenta le mie radici letterarie, come la mia parte “russa”, cioè il mio rapporto con la letteratura russa. Le mie radici familiari vengono dal Marocco. Quando ero piccolo il Marocco era per me il Paese delle meraviglie, dalle mille e una notte. E poi c’è anche la mia nuova “ossessione”, che è la lingua italiana. Sono tutti posti che ho scelto perché raccontano la mia biografia. Ma non solo la mia, ma anche quella del mio popolo. Ho capito da questo che ci sarebbe dovuto essere un capitolo sull’Olocausto, parte importante del popolo ebraico. Non sono però Primo Levi, quindi non ho potuto descriverlo sotto forma di documentario. Pur essendo un tema “sacro”, mi sono sentito altresì libero come scrittore di dare il mio punto di vista su questa pagina tragica, scegliendo la metafora del circo delle pulci. Esisteva a Londra ad esempio e nel Novecento era un evento culturale. Ho immaginato quindi questo piccolo circo delle pulci a Dachau in Germania nel 1942 per parlarne.
Il tocco della scrittura teatrale si ritrova molto nel suo romanzo.
Lavoro nel mondo teatrale da almeno venti anni. Sì, è un romanzo molto teatrale e devo dire che mi piace lavorare coi miei attori. Si può dire che sono i miei editori, perché li ascolto e se c’è un problema cambio in corso la scrittura. Insieme con gli attori e coi direttori sono sempre in sala quando facciamo le prove perché è un lavoro continuo e collettivo. Quando scrivo la prosa, è lo stesso. Mi sembra di lavorare con gli attori. Ascolto, sento le loro voci e mi piace leggere ad alta voce ciò che scrivo perché immagino che il lettore faccia la stessa cosa. Le parole hanno un gusto.
Il protagonista Grisha è un po’ un anti eroe, pur avendo a suo dire attraversato la trasmigrazione delle anime, vive ora un’esistenza semplice, per alcuni versi si potrebbe dire banale. È stata una scelta o è nato via via il suo personaggio?
La vita è qui e adesso, come dice Marina, e non dobbiamo cercare avventure o ripensare al passato perché appunto la vita è adesso. Tutto ciò che facciamo è tutto ora e non è così semplice come sembra, anche semplicemente respirare è già un’avventura. Non dobbiamo cercare di più…
Lei ha tradotto molti autori russi. Da conoscitore della cultura russa, cosa pensa della situazione attuale che consegue la guerra?
Questa è una domanda importante. Ho un legame molto forte con la cultura russa. Ho tradotto tutti gli autori classici, da Puskin, Checov a Dostoevskij. Mia moglie è nata a Mosca, per quattro anni ha vissuto in Ucraina, e parla in ucraino. Siamo in Israele da oltre venti anni, e il teatro dove lavoro è stato fondato da un gruppo di attori russi. Per me è chiara la differenza tra cultura e governo russo. Tutti gli scrittori classici che ho tradotto, questi grandi scrittori sono sempre stati oppositori del regime. La storia della Russia si ripete, è fatta a cicli. Un regime e il popolo che deve cercare la propria libertà. Il mio cuore è con il popolo ucraino, ma allo stesso tempo tutti i miei amici sono in Russia e sono in una situazione complicata. È molto importante aiutare anche il popolo russo che subisce. La storia si ripete ed è sempre più crudele del passato.