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La sicurezza energetica e i primi dossier internazionali di Meloni secondo Margelletti

“Ankara ha una propria specifica agenda molto forte, all’interno dell’alleanza, ma anche una visione molto più concentrata su alcuni aspetti. Meloni? Credo che una delle cose che farà al più presto sarà andare a Washington”. Colloquio con il presidente del Cesi, che dà atto all’ex ministro Di Maio di aver portato a casa un buon risultato in campo energetico, nonostante l’emergenza

“Sbagliato immaginare la nuova presidente del Consiglio come una persona che deve imparare le relazioni internazionali. Ho contezza che sia molto più avvezza alla politica estera di quanto possa la gente immaginare”. Lo dice a Formiche.net Andrea Margelletti, presidente del Cesi, Centro Studi Internazionali che in questa conversazione cerchia in rosso i dossier più caldi, come Libia, gasdotti e sfide internazionali partendo dall’attivismo di Ankara a Tripoli.

Firmati due accordi militari tra Libia e Turchia, tre settimane dopo quello per l’esplorazione di idrocarburi nelle acque libiche. Previsto l’ammodernamento dell’Aeronautica Militare libica. Cosa cambia per Roma?

Vedo un dato politico molto importante, che cambia lo scenario dell’approccio. Cioè noi abbiamo una presidente del Consiglio e un ministro della Difesa che hanno una solidità legata al pienissimo e ampio mandato parlamentare. In tutto questo, come si fa a non riconoscere la solidità di persone come Mario Draghi o Lorenzo Guerini, figure assolutamente straordinarie? Ma il dato politico è che ha un peso completamente diverso l’azione di un governo non di salvezza nazionale o frutto di una architettura trovata in Parlamento.

In che senso?

Bisogna concentrarci su tre profili su tutti: la presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e il ministro della Difesa, anche attraverso una prospettiva diversa che non è soltanto politica, naturalmente. Nel caso della presidente Meloni parliamo di una politica che nel corso degli anni ha intessuto una rete importante a livello internazionale con i principali Paesi della Nato.

In seguito?

L’esperienza del nuovo ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani si commenta da sola, è stato per molti anni presidente del Parlamento europeo e difficilmente mi viene in mente qualcuno che abbia una rete di contatti, visioni, conoscenze di tale livello. La politica è fatta soprattutto di rapporti personali ampi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto è prima di tutto un appassionato di questioni strategiche. È un imprenditore. Il che vuol dire che ha una visione laica delle cose e non necessariamente ideologica e ha una grande competenza in materia. Sono figure di livello.

Il ministro Tajani sull’Africa ha detto che non possiamo non avere un’azione forte da parte dell’Italia e dell’Europa, a dimostrazione della delicatezza del settore Africa. Per noi innanzitutto vuol dire Libia? Quali le prime mosse da fare?

Sono appena tornato dalla Turchia, che sta giocando un ruolo molto importante a livello Nato e nella vicenda ucraina. Ankara ha una propria specifica agenda molto forte, all’interno dell’alleanza, ma anche una visione molto più concentrata su alcuni aspetti. Ovviamente frutto della sua storia. Io ritengo, ed è la mia posizione da molti anni, pur nel tradizionale multilateralismo che caratterizza l’Italia, che si debba anche riconoscere che talvolta l’azione unilaterale o per lo meno multilaterale ma a guida italiana, non è necessariamente un male. Ci fu un’operazione di grande respiro politico che è stata l’operazione Alba in Albania a guida italiana, che ha permesso a quel Paese di diventare quello che poi è oggi. Ecco, allora credo che il nostro Paese debba anche avere il coraggio, prima o poi, di riconoscere che se qualcosa non lo puoi fare insieme agli altri, lo puoi fare anche da solo o comunque guidare un gruppo di realtà che ne condividono la stessa visione.

Si parla da tempo, anche dopo le scoperte a Cipro e in Israele, del gasdotto EastMed. Al netto degli stop dello scorso anno, però, anche Erdogan si era candidato qualche settimana fa a diventare un hub dei prodotti russi. Qual è il punto di caduta di queste due strategie così diverse e che però si stanno intrecciando?

Ci sono due problemi su temi energetici. Uno che tocca il cittadino e l’altro che tocca la sicurezza nazionale. Spesso i rincari non sono dovuti a questioni legate alla geopolitica, ma a vicende più attinenti a speculazioni. Un’altra questione, invece, è quella dell’afflusso energetico di un Paese come il nostro, che da molti anni ha scelto di delegare all’estero completamente i propri approvvigionamenti. Il che vuol dire che un Paese che si rende totalmente dipendente da quello che succede fuori da casa sua fa una scelta che per molti può essere comprensibile, ma non necessariamente condivisibile. Detto questo, dobbiamo stare molto attenti perché la lezione che arriva dal conflitto russo-ucraino è legata alle dipendenze. Allora una nazione multilaterale come la nostra deve puntare sulla multi-dipendenza e non su un unico fornitore, ancorché possa dare magari delle condizioni migliori, perché altrimenti scambiamo una dipendenza con un’altra. Ma non è tutto.

Ovvero?

Mi pare anche che l’operato del ministro Di Maio sulla parte finale della vita del governo Draghi si sia stata proprio in tal senso. Va dato un plauso all’azione di Di Maio, nel cercare di portare a casa un buon risultato, e mi pare che sia riuscito a farlo in tempi dettati dall’urgenza e non dal respiro della negoziazione.

Dopo il viaggio a Bruxelles e a Kiev, sarebbe utile per Meloni andare magari a Tripoli?

Da genovese ricordo sempre la canzone del mio concittadino De André quando cita che la gente dà buoni consigli quando non può più dare il cattivo esempio, e quindi questo lo dico da analista. Credo che una delle cose che farà al più presto sarà andare a Washington. Ma non per prendere ordini come qualcuno indiscutibilmente prima o poi maliziosamente dirà, ma per avere un’idea su quali siano le strategie di Washington sull’Europa, sulla sicurezza del Vecchio Continente, sulle engagement che gli Stati Uniti vorranno avere in Europa e sul tipo di supporto che gli Stati Uniti chiederanno all’Europa in Asia.

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