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Phisikk du role – Meloni, i sondaggi e la fabbrica del consenso

Ecco dove nasce il consenso, in mancanza di partiti, sezioni, luoghi di aggregazione politica, rapporti elettori/eletti. La televisione è ancora il media che orienta gli italiani. La rubrica di Pino Pisicchio

È passato solo un mese dalle elezioni vere ed ecco che riprende il tormentone del sondaggio politico-elettorale. È vero che il 25 settembre i sondaggisti ci hanno preso alla grande, certificando fin dal mese di agosto un risultato che si è proposto come “la profezia che si autoavvera” cara alla psicologia sociale americana, tuttavia, dopo aver celebrato adeguatamente i guru della divinazione vorremmo prendere un bel respiro e andare avanti nel confortevole ignoto fino alle prossime elezioni amministrative.

E invece no: puntuale come una tassa eccolo in prima pagina, di spalla, in alto a destra sul giornalone: è tornato il termometro dell’umore politico. E provate ad indovinare chi guida la classifica? Col 30% ecco il (la) presidente(a) Meloni nello splendore del suo governo delle prime volte (prima donna, prima volta della Destra/Destra, prima volta di una figlia della Garbatella eccetera eccetera). Quattro punti in più di un mese fa, i concorrenti più o meno uguale, cedendo ognuno un pezzettino per racimolare i punti meloniani e giù due paginoni di buona cartastampata.

Chi sondaggia scatta una fotografia. Ma che cosa inquadra? Un popolo in sintonia privilegiata con Giorgia Meloni, fresca di nuovi autorevoli apporti empatici di giornaliste blasonate e di giuristi dallo scranno alto? Un assembramento di soccorritori della vincitrice? Prima di rispondere al quesito proporrei una domanda preliminare: dove si forma l’opinione degli italiani? Insomma qual è la fonte da cui gli italiani traggono il loro orientamento politico? Una volta era la cartastampata: il giornale era la preghiera del mattino insieme al caffè e il dibattito al bar partiva dall’editoriale del “bravo giornalista”. Oggi i giornali li leggono solo i giornalisti televisivi e del web.

Si pensi a questo numero: 3.809.149, tante erano le copie che vendevano in Italia le prime 10 testate nel 2001. Oggi ci vogliono 10 testate per vendere 773.000 copie, quante ne vendeva da solo il Corriere in quegli anni ruggenti. Dice: “Ma è chiaro, l’opinione la fa la Rete, i social media, insomma quello che passa lo smartphone”. Vero fino a un certo punto: intanto c’è una questione di fruitori e di qualità specifica del social che include o taglia fuori intere fasce generazionali. Insomma Tik Tok non è per gli “over” e così una buona parte dei media che fanno da nutrimento ai giovani. Agli anziani è rimasto Facebook. A tutti, però, è ammollata la modalità del “cerchi conferma di ciò che pensi”: nessun sovranista andrà a leggere la  verità di un europeista e viceversa (tanto per buttarla sul dibattito nobile). Per cui la Rete resta comunque un ghetto, prevalentemente a fruizione giovanile, con linguaggio proprio, con propria visione del mondo, e non incline a implicarsi nella politica.

Resta la vecchia tv. Che resta il vero motore del consenso politico. Una tv a trazione “anziana”, visto che solo una minoranza di giovani (circa il 18%) accetta di vederla abitualmente. Oltre la metà dei telespettatori italiani ha più di 55 anni, mentre gli ultrasesessantacinquenni sono il 34%. È chiaro come questa popolazione si presti a  rappresentare il target più fedelizzato a telegiornali, talk show e trasmissioni di “infotaiment”, che sarebbero contenitori in cui si fa informazione e intrattenimento insieme, ammazzando in realtà tutti e due (mescolanze indecenti di guerre, omicidi, barzellette e canzoncine neomelodiche).

Ecco dove nasce il consenso, in mancanza di partiti, sezioni, luoghi di aggregazione politica, rapporti elettori/eletti. Qualche esempio eloquente? Ricordate il consenso oceanico raccolto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte al tempo del Covid? Lockdown, costretti tutti a casa, la tv come unico ricovero, e lui ogni sera a fare il suo commento rasserenante sull’epidemia, gli sforzi del governo e via dicendo. Il gradimento salì alle stelle, e fu talmente in alto da restare ancora appiccicato un pochino oggi al personaggio. Perché in questo cortocircuito continuo dell’informazione che ci avvoltola la notorietà vale di per sé consenso, come per ogni prodotto commerciale.

E allora, ci vogliamo meravigliare del “mi piace” in salita della Giorgia che ha appena cominciato la sua luna di miele con gli Italiani, celebrata, fotografata, filmata, raccontata a colazione pranzo e cena ogni giorno? E quando la notizia ancora non c’è la voce del giornalista fuoricampo, commentando filmati di recente repertorio commenta: “Ecco la presidente che sta lavorando sui dossier dei prossimi giorni”. E lascia lì nell’aria un piccolo silenzio che sembra voler dire: “Noi la ringraziamo per quello che sta facendo e che farà, perché lei è la migliore che ci sta”.

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