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L’attacco al ponte di Kerč è tattico, strategico e geopolitico

Di Emanuele Rossi e Matteo Turato

Gli attacchi ucraini rendono sempre più complessa la logistica russa, che si trova a dover rifornire le truppe a Zaporizhzhia e a Cherson passando via terra. Ma non c’è solo questo. La centralità geopolitica del Mar d’Azov e le conseguenze strategiche del crollo del ponte

Il Ponte sullo stretto di Kerč , che collega la penisola della Crimea alla Russia, è parzialmente crollato dopo un’esplosione nella mattina di sabato 9 ottobre.

Infrastruttura di assoluto rilievo ingegneristico, Vladimir Putin lo ha inaugurato nel 2019 dopo cinque anni di lavori. Un limpido messaggio al popolo russo, a quello ucraino, a tutti i popoli del mondo: sotto la mia leadership siamo stati in grado non solo di abbracciare la penisola nella Federazione Russa, e non solo l’abbiamo fatto con il ponte ad arco-tirante tra i più estesi al mondo, diciannove chilometri. Ma abbiamo realizzato un’opera che le élite di San Pietroburgo avevano in mente dal 1904.

Michael Kofman, analista militare del Center for Naval Analyses, ha affermato che la perdita del collegamento ferroviario “limiterebbe sostanzialmente la capacità russa di spostare truppe e rifornimenti attraverso la Crimea fino a quando non saranno in grado di ripararlo.” L’unica altra via di rifornimento è attraverso i territori recentemente annessi nel sudest dell’Ucraina, ma il cosiddetto ponte di terra che la Russia ha creato annettendo quattro regioni è difficile da attraversare. Le linee ferroviarie sono poche e distanti tra loro, per lo più a binario unico, e devono attraversare ponti su fiumi e canali di irrigazione che sfociano nei mari Azov e Nero.

Come ha ricordato Rob Lee, del Foreign Policy Research Institute, gli attacchi missilistici ucraini alle infrastrutture ferroviarie avevano già limitato in modo significativo la capacità della Russia di rifornire le forze attraverso il sud via terra, e la Russia ha anche perso un numero significativo di camion durante l’invasione. A questo punto bisognerà capire se Mosca ha abbastanza traghetti per continuare ad approvvigionare i propri soldati a Zaporizhzhia e a Cherson.

Con la sua posizione geografica quel ponte chiude il Mar d’Azov, triangolo concepito da Mosca come continuum verso la Crimea. Intorno a un bacino marittimo di circa quarantamila chilometri quadrati(un settimo del Tirreno) si trovano alcuni tra i principali punti strategici di questo conflitto: l’importante polo commerciale marittimo di Mariupol, ora distrutto e riconquistato, e le località russe di Rostov sul Don e Krasnodar, dove si ubicano rispettivamente il Distretto Militare Meridionale e la base aerea di Primorsko-Akhtarsk.

Qui sta la dimensione geopolitica dell’infrastruttura. Il controllo del Mar d’Azov è una prerogativa per Mosca e per Kiev, tanto che negli anni precedenti alla guerra l’area era già stata oggetto dei primi scontri marittimi tra ucraini e russi.

L’attacco acquisisce dunque un valore simbolico e strategico. A questi elementi si aggiunge  anche una dimensione tattica. Quel ponte ha contribuito allo spostamento di mezzi verso l’Ucraina, e ancora una volta assistiamo alla centralità della logistica in questo conflitto. Dallo scorso aprile la Russia ha subìto diverse volte attacchi che ne hanno tagliato la catena di collegamento e rifornimento, creando non pochi problemi all’offensiva, con episodi di linee avanzate che sono rimaste isolate. Quel percorso in particolare è cruciale per arrivare a Kherson.

Kiev dimostra di essere in grado di condurre una controffensiva completa, colpendo anche le infrastrutture strategiche nemiche; mentre Mosca si ritrova a dover gestire azioni di questo genere in quello che considera spazio della Federazione Russa. Qui è doveroso fare una precisazione per evitare allarmismi inutili. La dottrina militare russa non giustifica l’uso dell’arsenale atomico di fronte a un attacco di questo tipo. Probabilmente ci possiamo aspettare missili russi che pioveranno su strutture strategiche nell’Ovest ucraino.

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