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Cedere TikTok per evitare il ban. La proposta negli Usa

La cessione della piattaforma social a una compagnia statunitense è una proposta avanzata da uno dei deputati più falchi del Congresso riguardo alla Cina. La questione, però, è vista con la stessa preoccupazione sia dai democratici che dai repubblicani. A buona ragione, visto che il social network così come è oggi può costituire l’occhio di Pechino sul popolo statunitense

Il deputato repubblicano Mike Gallagher ha detto che la vendita di TikTok a una società statunitense potrebbe essere un “risultato accettabile” per evitare il divieto assoluto alla piattaforma di operare negli Stati Uniti. La dichiarazione arriva da una figura tra le più dure nei confronti della Repubblica Popolare Cinese e si inserisce nella diatriba sullo spionaggio e sull’influenza che Pechino potrebbe esercitare sul suolo americano tramite il social network.

Come raccontato da Formiche.net, la piattaforma social TikTok è controllata dalla società ByteDance, entità cinese con sede a Pechino. Nonostante ByteDance abbia sempre negato che esistano legami tra la società e il Partito Comunista Cinese (Pcc), la comunità di intelligence statunitense è di tutt’altro avviso. L’episodio più recente è quello della società-madre che ha utilizzato i dati TikTok di una serie di giornalisti per collegare questi ultimi alle loro fonti interne all’azienda nel tentativo di interrompere le fughe di notizie. Il fatto, già di per sé illegale, dà un’idea di come il governo cinese possa, almeno potenzialmente, fare con i dati degli utenti americani.

Molti commentatori della politica statunitense si aspettano che Gallagher giochi un ruolo di primo piano nel nuovo Congresso, che si insedierà martedì. Il deputato è un ex ufficiale del controspionaggio del corpo dei marine e si è guadagnato posizioni tra i politici che premono per un approccio di ferro nei confronti di Pechino, già dalla sua elezione nel 2016. “TikTok è di proprietà di ByteDance; ByteDance è di fatto controllata dal Pcc. Dobbiamo quindi chiederci se vogliamo che il Pcc controlli quella che si appresta a diventare la più potente azienda mediatica d’America” ha affermato domenica ai microfoni dell’emittente Nbc. E ha proseguito definendo il social network un “fentanyl digitale”, riferendosi all’oppioide in commercio negli Usa. Crea “dipendenza e distruzione”.

TikTok ha risposto, come al solito, che il Pcc non ha alcun controllo né diretto né indiretto su ByteDance e che il gruppo accoglierebbe con piacere la possibilità di mostrare ai membri del Congresso come l’azienda affronta le questioni di sicurezza nazionale.

Lo scorso mese, il Senato degli Stati Uniti ha approvato all’unanimità un decreto che impedisce ai dipendenti governativi di installare TikTok su dispositivi pubblici. Inoltre diversi Stati avevano già intrapreso azioni di questo genere. Gallagher ha di recente proposto un disegno di legge insieme al senatore Marco Rubio, vicepresidente del Committee on Intelligence, per proibire l’uso di TikTok in assoluto negli Usa, un progetto che ha ottenuto un discreto appoggio anche da parte dei democratici. Il suggerimento di vendere la piattaforma a un’azienda statunitense deriva proprio da questa proposta.

I deputati e senatori più rigidi criticano l’amministrazione presidenziale per la lentezza con cui il Cfius, l’organo governativo preposto al controllo degli investimenti esteri negli Usa, sta negoziando un accordo con ByteDance. La procedura negoziale è segreta e lo sarà anche l’accordo che ne uscirà, ma i punti critici sono ovviamente chi controlla i dati degli utenti e chi modera e sorveglia i contenuti sensibili, come ad esempio l’informazione politica. “Ciò che non vogliamo è una forma di soluzione parziale in cui c’è un data centre a Singapore, ma il Pcc e ByteDance continuano a mantenere il controllo effettivo” ha detto Gallagher. Ma la questione va ben oltre alla semplice polemica tra parti politiche. “Non voglio che sia una questione di partito. Voglio lavorare con la Casa Bianca. E credo che l’unanimità del voto in Senato sia la prova che questa non sia una questione di partito”.

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