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La politica estera e il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Meloni verso Tripoli

La call del premier con Biden, Macron, Scholz e Sunak sullo stretto coordinamento euroatlantico per il sostegno all’Ucraina conferma questo trend. Dopo l’asse energetico con l’Algeria e lo sforzo fatto nella direzione dei Balcani con la Conferenza di Trieste, il governo punta a dire la sua anche in Libia, dove da troppo tempo l’Italia non riesce a trovare spazi

Il decreto Ucraina da un lato e l’imminente viaggio del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Libia dall’altro, rappresentano un altro tratto di strada percorso dal governo, sia nel Mediterraneo che in generale nell’immaginario collettivo dell’Ue. Ovvero si sta progressivamente distendendo la politica italiana in un “fazzoletto geopolitico” altamente strategico, in cui Roma nell’ultimo lustro ha accusato più di una difficoltà. E la call del premier con Biden, Macron, Scholz e Sunak sullo stretto coordinamento euroatlantico per il sostegno all‘Ucraina ne è ulteriore conferma.

Il ruolo più esposto di Tajani e quello più silenzioso di Fitto (che ha incontrato ieri il parigrado maltese), assieme, stanno dando benzina ad una macchina che punta sì alle europee per raccogliere i frutti internazionali del primo anno di lavoro ma che, complessivamente, può e deve trovare una sintesi nel medio-lungo periodo con la Francia e con la Turchia per non restare ancora fuori dai giochi libici.

Libia

L’incontro (preparatorio al viaggio di Meloni) tra l’ambasciatore Buccino e la ministra degli esteri libica el Mangoush si somma all’effetto favorevole dal punto di vista italiano: tra le altre cose Eni e Noc hanno siglato nuovo accordo per aumentare la produzione come annunciato nei giorni scorsi dal presidente della Noc, Farhat Bengdara, secondo cui il 28 gennaio verrà firmato un contratto da 8 miliardi riguardante due giacimenti di gas offshore nel Mediterraneo.

Al gas si somma (e non può che essere così) il processo di possibile normalizzazione istituzionale della Libia, su cui il ministro Tajani ha indicato una meta cerchiata in rosso: elezioni entro l’anno. “La stabilizzazione della Libia è cruciale ed è al centro di tutti i nostri colloqui con i Paesi che hanno influenza sulla regione per arrivare ad elezioni entro il 2023 sotto l’egida Onu”, aggiungendo che il Mediterraneo è snodo centrale della politica estera italiana, crocevia millenario di rapporti. “Il governo italiano punta ad essere sempre più protagonista, altrimenti i vuoti lasciati saranno colmati da altri, con questo obiettivo si inquadrano le missioni mie e della premier con nuove tappe a breve in tutto il Mediterraneo”.

Scenari

Se da un lato il dossier Libia si somma agli sforzi energetici fatti in Algeria e, parimenti, a quelli che andranno fatti in prospettiva lungo tutto il versante africano (tra Piano Mattei e nuova consapevolezza di un continente primario), dall’altro spiccano due elementi.

In primis i numeri egiziani che lo stesso Tajani ha quantificato nel Question time alla Camera: “Ad Algeri il presidente Meloni ha discusso delle potenzialità del Transmed, a Tunisi ho valorizzato l’approvazione del progetto Elmed, dall’Egitto nel 2023 ci aspettiamo tre miliardi di metri cubi di gas. Con queste ed altre iniziative l’Italia punta a diventare un hub energetico”.

A questo si aggiunge una strategia che potrebbe trovare nuovi sbocchi se tarata sul dialogo con partner esterni come Parigi e Ankara, che in quell’area hanno un peso specifico. Roma ha già dato ampia dimostrazione di affidabilità sull’Ucraina, passaggio che potrebbe valerle un voucher da spendere in altri quadranti, senza dimenticare lo sforzo fatto sul versante balcanico sfociato ieri nella Conferenza di Trieste. 

@FDepalo

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