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Cosa c’è dietro l’astensionismo elettorale. Il commento di Ceri

A spiegare l’astensionismo elettorale e, più in generale, la disaffezione politica non è tanto uno squilibrato rapporto tra diritti e doveri, quanto un rapporto squilibrato tra aspettative e possibilità di realizzazione. L’analisi di Paolo Ceri, già ordinario di Sociologia all’Università di Firenze

La già bassa partecipazione al voto è ulteriormente diminuita nelle elezioni regionali del 13 febbraio. Ridotta a poco più di un terzo dell’elettorato (37,2% nel Lazio, 41,7 in Lombardia), essa vale come conferma di una tendenza che, come nelle elezioni politiche, è attiva da lungo tempo, non soltanto in Italia. È una tendenza che, se non si inverte, comprometterà la legittimità sostanziale dei governi e il funzionamento della democrazia rappresentativa.

I fattori addotti dagli osservatori per spiegare il crescente astensionismo sono i più vari: dalla scarsa distinzione tra le proposte politiche alla volatilità delle alleanze, dal venir meno delle contese e delle passioni ideologiche alla sfiducia nella classe politica, dal divario tra le percentuali di lista nei sondaggi preelettorali all’opinione che il voto sia inutile tanto il risultato è scontato,  dai costi per i fuori residenza all’invecchiamento della popolazione, oltre a fattori contingenti o locali.  Di tali fattori il più delle volte vengono proposte selezioni e interpretazioni atte a spiegare la fuga dalle urne con un deficit dell’offerta o, al contrario, con un deficit della domanda – vale a dire orientate in una di due opposte direzioni: attribuendo nella sostanza la “responsabilità” dell’alta astensione alla bassa qualità e ai distorti moventi dei politici, oppure alle caratteristiche e motivazioni degradate degli elettori.

Al dualismo non sfuggono neppure spiegazioni intese a rintracciare cause di più lungo andare e di più ampia portata. Indicativi sono, ad esempio, due articoli comparsi nei giorni scorsi. Nell’uno – pubblicato il 16 febbraio sul manifesto col titolo La valanga astensionista è un delitto – l’autore, Filippo Barbera, afferma che il ceto politico “è il principale responsabile del non voto” e che i partiti, “ormai assimilati a comitati d’affari”, sono “i principali traditori” della Costituzione. Nell’altro, apparso il giorno prima sulla Repubblica col titolo Alle origini del non-voto – Luca Ricolfi sostiene che l’astensionismo di massa è “solo una delle manifestazioni di un cambiamento più generale della società italiana, che ha alterato radicalmente l’equilibrio tra diritti e doveri”, conseguente alla diffusione e al radicamento de “l’idea di essere titolari di diritti, che è compito di altri, Stato e istituzioni innanzitutto, rendere esigibili”.

Non vi è qui spazio per commentare le due spiegazioni – scontata la prima, avvertita la seconda – entrambe indicative come detto. Consapevole che per spiegare adeguatamente sarebbe necessario considerare assieme fattori di offerta e fattori di domanda, qui può soltanto accennare un’ipotesi (anch’essa dal lato della domanda) alternativa a quella di Ricolfi.

Ritengo che a spiegare l’astensionismo elettorale e, più in generale la disaffezione politica, non sia tanto uno squilibrato rapporto tra diritti e doveri, quanto un rapporto squilibrato tra aspettative e possibilità di realizzazione. Il prolungato combinarsi della mobilità bloccata e dell’esaltazione ideologica e culturale delle opportunità di successo, propria delle politiche neoliberiste (adottate a lungo in varia misura anche da formazioni socialdemocratiche) ha squilibrato il rapporto, fino a disancorare le aspettative dai mezzi disponibili e dai bisogni. Dopo un certo tempo la bolla inevitabilmente si sgonfia, per cedere il passo alla delusione e al risentimento. Il populismo antipolitico ne è sia una conseguenza che un’espressione. Ma, come ora si vede, anche pulsioni e promesse antipolitiche sono destinate ad affievolirsi, lasciando spazio alla disillusione e alla rinuncia. A quel punto il rapporto tra aspettative e bisogni salta: le aspettative in molti si azzerano, restano i bisogni. La sfiducia politica si approfondisce. La rinuncia e il rifiuto del voto ne sono una conseguenza.

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