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Zelensky parla con Tokyo perché Pechino ascolti

Zelensky parla ai giornali giapponesi di come Pechino lo stia ignorando, mentre Tokyo lo difende. È un messaggio molto raffinato, che delinea sia i riflessi asiatici della guerra russa in Europa, sia la costruzione del fronte democratico e del gruppo autoritario. Echi cupi degli anni Trenta e Quaranta, secondo Rachman (FT). Ma ci sono equilibri in costruzione

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato di aver richiesto alla Cina la cooperazione su un “piano di pace” in 10 punti proposto da Kiev e l’organizzazione di un vertice. “Non ho ricevuto dalla Cina una proposta di mediazione. Non ho ricevuto la proposta di incontrarci”, ha detto. Zelensky ha espresso scetticismo sulla proposta cinese in 12 punti, affermando che “il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale” deve venire prima di tutto.

Narrazioni e interessi

Per quanto riguarda la possibilità di dialogo con il presidente russo, Vladimir Putin, ha sottolineato che la Russia deve lasciare il territorio dell’Ucraina. Riguardo all’idea di un cessate il fuoco, ha detto: “Non mi fido totalmente  [di Putin]”. Che è un messaggio anche a Xi Jinping, il quale si è recentemente recato in visita a Mosca. Poi il leader ucraino ha anche dichiarato di nutrire grandi aspettative nei confronti della leadership giapponese Kishida Fumio nel suo ruolo di presidente del G7 per quanto riguarda le eventuali attività negoziali con la Russia.

Zelensky ha fatto queste dichiarazioni parlando dell’invasione russa con il quotidiano nipponico Yomiuri Shimbun. Quello che ha fornito è un input comunicativo perché Kishida è stato recentemente a Kiev e perché ha sottolineato un’ambiguità cinese — la visita a Mosca di Xi Jinping senza aver parlato con l’Ucraina. “Abbiamo bisogno di un grande, grande sostegno e della leadership del Giappone”, ha dichiarato il presidente ucraino: “Quando parliamo di rinnovamento dell’Ucraina, soprattutto ora, per un piano di recupero rapido, abbiamo bisogno della leadership del Giappone”. “Abbiamo superato questo inverno con molti partner. Grazie, Giappone”, ha detto. 

Oltretutto ha aggiunto che davanti al pericolo nucleare russo, è necessario il know-how giapponese in materia di sicurezza nucleare. Altro messaggio comunicativamente efficace, visto che Xi ha insistito molto sulla questione della responsabilità delle potenze nucleari nel gestire la sicurezza globale (anche nel dialogo con la Russia). E anche perché arrivato poco prima di incontrare il direttore dell’Agenzia atomica internazionale.

Scontro asiatico sull’Ucraina

Il fatto che il presidente cinese e il primo ministro giapponese abbiano effettuato visite simultanee e concorrenti nelle capitali di Russia e Ucraina sottolinea l’importanza globale della guerra in Ucraina. Giappone e Cina sono rivali in Asia orientale, consapevoli anche che la loro lotta sarà profondamente influenzata dall’esito del conflitto in Europa. La diatriba è in evoluzione, tanto Kishida ha rifiutato l’incontro di addio con l’ex ambasciatore cinese in Giappone, Kong Xuanyou, prima della sua partenza, “mettendo in evidenza il grado di tensione dei rapporti con la Cina”, ha scritto il Japan Times. E tutto fa parte di una tendenza più ampia. Le rivalità strategiche nelle regioni euro-atlantica e indo-pacifica si stanno sempre più sovrapponendo. Ciò che sta emergendo è qualcosa che assomiglia sempre più a un’unica lotta geopolitica globale. 

La visita di Xi a Mosca ha confermato quella che il politologo di Harvard Graham Allison definisce “l’alleanza non dichiarata più consequenziale del mondo”: un asse Russia-Cina che si estende su tutta la terraferma eurasiatica. Mosca e Pechino si stanno avvicinando all’Iran, come per esempio raccontano le recenti esercitazioni avvenute nelle stesse zone in cui da poco imbarcazioni europee (anche una italiana) e statunitensi hanno fatto altre manovre – al confine tra Mediterraneo allargato e Indo Pacifico. Pechino e Mosca hanno sostenuto le “legittime e ragionevoli preoccupazioni” della Corea del Nord nella dichiarazione congiunta rilasciata la scorsa settimana — mentre Kim Jong-un mostra i muscoli nucleari che ha allenato in questi anni in cui è stato più distante dai riflettori. Differentemente, un altro gruppo di Paesei asiatici – come il Giappone, le Filippine o la Corea del Sud, Taiwan, e l’India – sembrano interessati ad allinearsi in qualche modo al raggruppamento occidentale.

Cosa lega spazio indo pacifico e euro-atlantico

Se questa visione di continuità tra le due grandi regioni che muovono le dinamiche mondiali è chiarissima al primo ministro nipponico, è l’amministrazione Biden a farsi promotrice di un rafforzamento dei legami tra gli alleati americani in Asia e in Europa. L’anno scorso, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda hanno partecipato per la prima volta a un vertice della Nato, per esempio. E in quell’occasione la Nato ha aperto una nuova strada, identificando esplicitamente la Cina come una minaccia agli “interessi, alla sicurezza e ai valori” dell’alleanza. Gli stessi quattro Paesi dell’Indo-Pacifico parteciperanno al vertice della Nato in Lituania a luglio.

Tutto questo è stato notato con disappunto da Mosca e Pechino. La dichiarazione russo-cinese della scorsa settimana ha espresso “seria preoccupazione per il continuo rafforzamento dei legami di sicurezza militare della Nato con i Paesi dell’Asia-Pacifico”, identificando questo come un rischio per la sicurezza e la stabilità regionale. Ha inoltre condannato esplicitamente Aukus, il nuovo patto di sicurezza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti. E infine ha attribuito tutto questo alla “mentalità da guerra fredda” dell’America. “Ma la tendenza di Xi e Putin a vedere gli Stati Uniti come il burattinaio che sta dietro a tutto potrebbe accecarli sul modo in cui le loro azioni hanno allarmato le democrazie di Europa e Asia”, ha scritto Gideon Rachman in un’analisi sul Financial Times.

Una guerra fredda moderna, o peggio?

Il governo giapponese per esempio vede l’assalto di Putin all’Ucraina come la prova che i poteri autoritari sono in evoluzione. Teme che una vittoria russa in Ucraina possa rafforzare la Cina nella propria regione. E come ha detto Kishida durante un viaggio in Gran Bretagna lo scorso maggio, “[la prossima] Ucraina potrebbe essere l’Asia orientale domani”. E se è vero che alcune nazioni stanno cercando posizionamenti nel crescente dualismo Washington-Pechino, non accettandolo completamente per ragioni di interessi diretti (per esempio l’Indonesia) e cercando di trovare nell’Europa una sponda terza (come molti del gruppo Asean), è altrettanto vero che Paesi come Taiwan si sentono direttamente minacciati.

Altri, per esempio le Filippine, si stanno via convincendo sul tenere posizioni più dure con la Cina. E infine l’India, potenza crescente che sta sì muovendo le sue carte in forma indipendente, ma certamente più vicina e coordinata con Stati Uniti ed Europa — e Giappone. “L’emergere di due blocchi globali rivali ha fatto parlare inevitabilmente di una nuova guerra fredda. Ci sono chiari echi di quel conflitto, con un’alleanza Russia-Cina che si scontra ancora una volta con una coalizione di democrazie guidata dagli Stati Uniti, mentre un ampio gruppo di nazioni non allineate, ora etichettate come Global South rimane in disparte”, scrive ancora Rachman.

“Tuttavia, esiste un parallelo storico ancora più cupo, che trovo più convincente: l’aumento delle tensioni internazionali negli anni Trenta e Quaranta”, continua. Allora come oggi, due potenze autoritarie — una in Europa e una in Asia, la Germania e il Giappone — erano profondamente insoddisfatte di un ordine mondiale che consideravano ingiustamente dominato dalle potenze anglo-americane. Ai tempi, Tokyo lamentava un “sistema di dominazione mondiale sulla base delle visioni anglo-americane del mondo. Versioni contemporanee di questa denuncia sono oggi regolarmente trasmesse dalla televisione di Stato russa o dal Global Times cinese”, nota Rachman.

Equilibri in costruzione

Davanti all’opinione cupa della columnstar del FT, va detto che Washington ha più volte allentato la valvola di pressione delle tensioni per tenere la situazione sotto controllo. Per esempio, ha cercato forme di contatto anche attraverso incontri in vertici multilaterali come il G20; oppure ha provato a mantenere i canali di dialogo military-to-military aperti, anche se lamenta una scarsa disponibilità della controparte cinese (per non parlare di quella russa, sebbene piccoli contatti ci siano stati, gestiti dalle intelligence). Nelle prossime settimane ci sarà anche una raffica di visite dei leader europei a Pechino per “non isolare la Cina”, come ha chiesto il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ospite durante le riunioni del Consiglio europeo.

Poi c’è la costruzione di sistemi mini-laterali di cooperazione basati su partnership militari e securitarie che hanno però anche uno scopo più profondo. Accordi come l’Aukus e la partnership Global Combat Air Programme, appunto, che ruotano attorno alla condivisione di tecnologie e catene di approvvigionamento, e sono concettualizzati attorno al desiderio di stabilità, sebbene concepiti all’interno di un’epoca di competizione (globale e quasi totale). Risposte congiunte a grandi sfide sistemiche che mirano a strutturare una deterrenza contro ambizioni egemoniche e desideri di caoticizzazione delle dinamiche e delle relazioni.

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