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Vi racconto l’avvolgente poesia di Carlo Pagnini. L’intervento di Girelli

Quest’anno l’Università di Urbino ha premiato il poeta pesarese Carlo Pagnini con il Sigillo dell’Ateneo. Occasione per ricordare l’omaggio al poeta del Conservatorio Rossini. L’intervento di Giorgio Girelli, presidente emerito del Conservatorio Statale di musica Rossini

Il “Sigillo di Ateneo” è una distinzione onorifica che l’Università degli studi di Urbino concede a personalità che nell’ambito della loro attività professionale o nell’impegno culturale ed artistico abbiano conseguito particolari benemerenze concorrendo ad elevare il livello sociale ed intellettuale della comunità.

Quest’anno Urbino ha premiato il poeta pesarese Carlo Pagnini. Prestigioso riconoscimento che l’Università e il Magnifico Rettore Giorgio Calcagnini gli hanno saggiamente tributato. Preziosa gemma che arricchisce il suo già vasto curriculum. C’è chi ha ricordato che per elencare tutti i ruoli artistici, i premi, le nomine, le onorificenze, le opere letterarie e i testi teatrali che il “Maestro” ha composto, sono occorse venti pagine dattiloscritte.

Ma Pagnini si è dovuto cimentare fin da giovanissimo con le difficoltà della vita. Lui stesso racconta: “Da privatista ho fatto ragioneria arrivando fino al quarto anno, con la professoressa Guasco, a Fano. Dove andavo in bicicletta da Pesaro due volte alla settimana. E lavorando fino a 10 o 12 ore al giorno potevo rimediare al massimo 3.000 lire al mese. 1500 li davo a mia madre per tirare avanti meglio che si poteva, e 1500 andavano per i professori e i libri”.

Lavoratore-poeta, che non ha certo passato la gioventù in discoteca. La cerimonia di premiazione si è svolta nel salone Metaurense del quattrocentesco Palazzo del Governo – oggi residenza della Prefettura e già sede dei Malatesta, Sforza e Della Rovere, nonché, poi, del “Cardinal legato” – che il prefetto Emanuela Saveria Greco, con sensibile attenzione, ha posto a disposizione sottolineando, tra l’altro, nel suo incisivo intervento: “Lei, signor Pagnini, è come il vento: sussurra i propri sentimenti alla gente, che ne resta avvolta come in un abbraccio”.

Pagnini ha talvolta raccontato che da bambino, passando dinanzi a quell’imponente Palazzo, poneva interrogativi alla mamma la quale non poteva che rimarcare quanto vasto fosse lo sbalzo sociale tra essi e chi in quelle maestose stanze risiedeva. Ora quel Palazzo lo ha accolto quale Ospite d’Onore che ne arricchisce la storia. La levatura e la considerazione di cui gode il personaggio sono segnalate non solo dal gesto del prefetto Greco ma dallo stesso rettore magnifico Giorgio Calcagnini che da Urbino è convenuto a Pesaro, a casa dell’insignito, per la consegna del “sigillo”. “L’uso del dialetto – ha commentato – risuona come una musica familiare e quotidiana, una lingua materna, non consolatoria, ma che vuole difendere una civiltà dalla perdita continua dei sentimenti e dei valori veri”. Per il sindaco Ricci, che ha rivolto al Poeta sentite espressioni di compiacimento, Pagnini è “una persona speciale che sa tenere insieme cultura alta e approccio popolare. Il sigillo dell’Ateneo è un riconoscimento che rende orgogliosa tutta la città”. E a rendere onore al “Maestro” erano inoltre presenti il presidente della Provincia Paolini, i consiglieri regionali Biancani e Vitri, ed altre autorità.

Qualche tempo fa pure il Conservatorio statale di musica “Rossini” ha reso omaggio al poeta invitandolo alla Festa del Lavoro, abitualmente celebrata dall’Istituto anche quale momento di riflessione e promozione civica degli studenti. Una scuola infatti non è unicamente ambito di apprendimento di discipline, ma altresì di responsabile maturazione sociale dei suoi giovani frequentatori.

Nessuno più di Pagnini ha conosciuto il lavoro nelle sue molteplici espressioni: assai precoci (per sostenere la famiglia), faticose o, infine, gratificanti. Pertanto ebbe buon titolo per essere protagonista della “Festa”. Nella quale, all’auditorium Pedrotti della rinomata scuola di musica, ebbe luogo nel 2016 lo spettacolo “Sa un fil de luc” (recentemente replicato a Pesaro), che attingeva il titolo da una raccolta di poesie dialettali del Poeta musicate da Fabio Masini, direttore del conservatorio. Non nuovo a tali performance avendo già messo in musica, tra l’altro, liriche di Montale e di Cardarelli.

Furono mobilitate le energie dell’Istituto: l’ensamble strumentale diretto dal bravo Daniele Rossi, il coro (soprani, contralti, tenori, bassi), elevata creatura di Aldo Cicconofri. Compositore propenso a realizzazioni che associano la musica a momenti e realtà sociali, Masini dà vita a sintesi dove le note si intrecciano e vivificano ciò cui si collegano.

“Kirkos Opera”, ad esempio, è una sua produzione del 2011 in continua evoluzione, cioè “aperta” in quanto integrabile con nuovi brani e nuove figure e metafore, come accade per i grandi circhi che nelle varie edizioni aggiungono o cambiano dei numeri al fine di mostrare sempre qualcosa di aggiornato legato a nuove sensibilità.

Futurismo, Fellini, il cavallerizzo Astley che inventò il primo circo moderno, sono alcuni dei temi dai quali “Kirkos opera” ha tratto ispirazione negli anni rinnovandosi a seconda dei momenti e dei luoghi dove lo si realizza e capitalizzando quanto di più importante sia emerso nelle precedenti edizioni. Nel 2013 venne eseguita proprio presso il Conservatorio Rossini, di cui ora Masini è direttore. Lascia dunque perplessi un commento, sul pur pregevole “International Salieri Circus Award” (L’Arena, 28.03.2023), giunto alla terza edizione, che avrebbe concretizzato “quell’unione innovativa e mai sperimentata altrove (sic!) tra circo contemporaneo e musica d’arte capace di renderlo unico nel suo genere…”.

Con Masini dunque musica e parola vanno a braccetto. E la sua musica è volata perfino sul dialetto con il quale ha attivato un rapporto molto particolare. Il dialetto: ma non era sentito come la varietà di lingua dei ceti bassi, simbolo di ignoranza e veicolo di svantaggio o esclusione sociale? No, non è così. Ceti “alti” veneti, romani, napoletani, siciliani, ad esempio, ne fanno uso consueto. Gli intellettuali di quelle zone hanno donato alla musica e alla letteratura internazionali opere dialettali pregevoli. E quindi il valore del dialetto non è commisurabile secondo il livello di espansione del suo uso. Anzi esso, oggi, è spesso giudicato positivamente perché rappresenta una risorsa comunicativa in più, accanto all’italiano, della quale servirsi quando occorre, e specie in virtù del suo potenziale espressivo. Un arricchimento, insomma, e non più un impedimento. Per gli increduli, consultare la “Treccani” (Massimo Cerruti). E poi ci sono Croce (“molta parte dell’anima nostra è dialetto”), Fellini (“il dialetto è la testimonianza più viva della nostra storia, è l’espressione della fantasia”), Pasolini (celebre la sua lezione-dibattito dal titolo “Volgar’eloquio” a Lecce nell’ ottobre 1975). Su questa componente fondante dell’identità di ogni comunità c’è chi va per le spicce, come il generale francese Louis Hubert Gonzalve Lyautey, vissuto a cavallo tra Otto e Novecento: ”Una lingua è un dialetto che possiede un esercito, una marina ed un’aviazione” (ma la definizione viene attribuita anche al linguista lituano Max Weinreich).

E Pagnini, di quanta espressività e spontaneità sia capace il dialetto, ci offre ampia visione, dando veste a stati d’animo, a sentimenti intensi con modalità proprie ed originali. Ecco l’arricchimento di cui siamo debitori a questo prestigioso poeta dialettale.

 



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