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La Russia e quel problema col petrolio. Mentre l’Occidente diserta S. Pietroburgo

Il Cremlino ha ammesso senza mezzi termini un calo strutturale delle entrate da idrocarburi, frutto dell’embargo europeo e delle sanzioni. I massicci acquisti (scontati) da parte dell’India hanno in parte compensato le perdite, ma il corto circuito rupia-rublo può inguaiare Mosca. Intanto il Forum di San Pietroburgo perde pezzi​ tra i partecipanti occidentali

Qualcosa non torna in Russia. Orfana della quasi totalità del mercato occidentale, a Mosca non resta ormai da mesi che vendere petrolio e gas a un gruppo ridotto di Paesi. Come l’India. Ma è proprio questo il punto. Se il Cremlino incassa meno da una parte, ovest, per far quadrare i conti deve necessariamente incrementare le entrate da est.

I fatti raccontano che nell’ex Urss il problema idrocarburi si sta decisamente ponendo. Non è tanto per quel Pil in caduto dell’1,9% nel primo trimestre dell’anno, quanto per i corrispettivi per l’oro nero venduto all’estero. E qui, a sentire il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, vengono i dolori. La Russia ha infatti chiaramente ammesso di avere problemi con le entrate da petrolio e gas che sono scese ai livelli più bassi degli ultimi anni, sottolineando l’impatto delle restrizioni occidentali sul motore principale di Mosca per finanziare la guerra in Ucraina.

Siluanov ha ammesso la difficile situazione durante una videoconferenza pubblica con il presidente Vladimir Putin, spiegando come le entrate energetiche siano scese di oltre il 50% nel primo trimestre di quest’anno. “Le entrate non energetiche della Russia sono in crescita come previsto, con il potenziale per un piccolo surplus entro la fine dell’anno, ma c’è un problema con le entrate energetiche”, ha detto Siluanov. Più nel dettaglio, le entrate energetiche di Mosca per i primi quattro mesi del 2023 sono crollate a 2,2 miliardi di rubli (27,3 miliardi di dollari), livelli mai visti dall’inizio della pandemia di Covid-19.

Nel solo mese di febbraio 2023, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (quando Mosca ha lanciato l’invasione), si è registrato un crollo delle entrate da oil & gas del 46,5%: un rosso pari all’88% del deficit annuale fissato nel budget. Ma il governo russo, pur ammettendo la contrazione dell’export di idrocarburi, spiegava tre mesi fa che il disavanzo era dovuto all’anticipo nei primi mesi dell’anno di grosse spese prima spalmate nell’anno, e che quindi il deficit sarebbe rientrato.

In tutto questo si inserisce la questione indiana. Certo, nel 2022 le importazioni indiane di petrolio russo sono decuplicate, passando dal 2 per cento delle importazioni complessive di petrolio del 2021 al 20 per cento attuale, secondo stime fatte dalla Bank of Baroda, una delle banche pubbliche indiane. Il grosso aumento delle importazioni indiane ha permesso alla Russia di compensare parte delle perdite economiche dovute alla drastica riduzione dell’importazione di petrolio da parte dei paesi europei, suoi principali acquirenti fino all’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Ma è altrettanto vero che, come raccontato da Formiche.net, nel frattempo Mosca ha smesso di accettare rupie in cambio di petrolio, fermando, nei fatti, le forniture.

Tutto questo mentre il Forum di San Pietroburgo, il principale appuntamento finanziario russo, perde pezzi. L’ex amministratore delegato di Google Eric Schmidt è nella lista dei partecipanti all’evento di quest’anno. Ma Schmidt, il più importante invitato in una lista di oratori occidentali, non ha ancora ricevuto l’invito né ha intenzione di andarci, scrive il Financial Times. Altri relatori occidentali elencati nel programma, tra cui l’amministratore delegato di Lucid Motors Peter Rawlinson e il professore di Stanford Ilya Strebulaev, hanno dichiarato che non parteciperanno. Non mancano però manager e rappresentanti di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, India e Cina.

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