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La Cia sta ricostruendo la rete di informatori in Cina

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“Abbiamo fatto progressi”, ha spiegato il direttore Burns. Dal 2010 al 2012 le autorità di Pechino avevano colpito le fonti dell’agenzia: almeno 30 persone arrestate o giustiziate

La Cia ha “fatto progressi” nel ricostruire la sua rete di informatori in Cina. A spiegarlo è stato Bill Burns, direttore dell’agenzia statunitense, intervenuto nei giorni scorsi all’Aspen Security Forum in Colorado. “Abbiamo fatto progressi e stiamo lavorando molto duramente negli ultimi anni per assicurarci di avere una forte capacità di human intelligence per integrare ciò che possiamo fare con altri metodi”, ha detto ricordando l’apertura di un missione center per la Cina nel 2021 per far fronte a “un governo cinese sempre più ostile”.

È la prima volta che la Cia, principale servizio di human intelligence degli Stati Uniti, riconosce pubblicamente quella che secondo molti funzionari è stata una vera e propria failure: almeno 30 informatori arrestati o giustiziati in Cina tra il 2010 e il 2012, con gravi conseguenze sulle capacità americane di monitorare la recente crescita convenzionale e nucleare dell’Esercito popolare di liberazione.

Come spiegato dall’esperto Calder Walton, la Cina, come la Russia, ha sfruttato la “distrazione” della guerra al terrorismo per colpire gli Stati Uniti e i loro alleati. Per Pechino l’anno di svolta sembra essere stato il 2005, ha spiegato il professor Walton in un lungo articolo su Foreign Affairs. In quel periodo, infatti, il ministero della Sicurezza di Stato cinese “ha lanciato le sue migliori risorse e i suoi ufficiali contro il governo e le aziende statunitensi, rubando il maggior numero possibile di segreti scientifici e tecnici per sostenere l’economia cinese e la sua potenza militare” approfittando del fatto che gli Stati Uniti fossero impantanati in Medio Oriente. È così che nel 2010 l’intelligence cinese ha smantellato un’importante rete della Cia in Cina, con una ventina di fonti statunitense uccise o incarcerate come raccontato dal New York Times. “Dieci anni dopo, un funzionario dell’intelligence statunitense che conosceva di persona questi eventi mi ha detto che la Cia non si era ancora ripresa in Cina”, ha scritto Walton.

Intervistato dal giornalista Bill Gertz per il libro “Deceiving the Sky”, Mark Kelton, ex vicedirettore della Cia per il controspionaggio, non ha commentato le risorse perse in Cina sulle quali era stato chiamato a indagare. Inizialmente era scettico, memore del trattamento riservato all’amico Brian J. Kelley, sospettato ingiustamente di essere un talpa russa (la vera talpa era, invece, Robert Hanssen, morto in carcere un mese fa). Tuttavia, ha affermato che le operazioni di intelligence cinesi rappresentano “un assalto segreto all’America che non ha eguali dai tempi di Mosca negli anni Trenta e Quaranta”. La Cina, ha spiegato, ha lanciato una campagna “che ci ha inflitto danni considerevoli, tra cui il furto di segreti governativi, commerciali e industriali sensibili”.

Ci sono due ipotesi, che non si escludono a vicenda, per quanto accaduto all’inizio del decennio scorso alla Cia: una talpa e una compromissione delle reti di comunicazione. L’agenzia e l’Fbi hanno identificato la talpa con Jerry Chun Shing Lee, un cittadino naturalizzato statunitense noto anche come Zen Cheng Li, ex ufficiale della Cia a Hong Kong reclutato dal ministero della Sicurezza dello Stato. Sarebbe stato lui a rivelare le identità di numerosi funzionari della Cia in Cina e delle loro risorse oltreché i dettagli delle operazioni e dei metodi di raccolta di informazioni. L’uomo si è dichiarato colpevole di cospirazione per spionaggio nell’aprile 2019 ed è stato condannato a 19 anni di carcere. Ma la velocità con cui le autorità cinesi hanno colpito le reti informative americane hanno fatto pensare che, oltre alla talpa, ci sia stato anche un attacco ai sistemi di comunicazione.

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