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L’odio è un’insidia per la società. L’esortazione di Mattarella al Meeting

Riceviamo e pubblichiamo il discorso integrale del Capo dello Stato, Sergio Mattarella pronunciato questa mattina durante il Meeting di Rimini

Permettetemi di riprendere le fila di un discorso, avviato, con la vostra comunità, sette anni or sono, nel 2016, qui a Rimini.

Nel frattempo, molti di quei giovani, sono passati  all’età adulta; tanti sono in cammino; mentre nuove generazioni si affacciano, nella continuità di una speranza, di un impegno. Ricorrevano, allora, i settant’anni della Repubblica; e mi appare significativo che, questo, nuovo, dialogo diretto, avvenga in occasione dei settantacinque anni della nostra Costituzione.

Il titolo – coraggioso – di quel Meeting, affermava: “tu sei un bene per me”; sottolineando il valore dell’incontro. Senza che fosse progettato, nell’anno del Covid – era il 2021 – ho avuto modo di rivolgermi, alla platea dei partecipanti, da remoto, quando a tema era posto “il coraggio di dire io”.

Mi sembra, quasi, un completamento di riflessione, svolgere qualche considerazione, qui, quest’anno, sull’amicizia, carattere dell’esistenza umana.

Ringrazio, per questa opportunità, gli organizzatori del Meeting; e rivolgo un saluto e un augurio, calorosi, ai giovani che hanno animato gli incontri di questa settimana; e che torneranno da Rimini con più conoscenze, e maggiori motivazioni; ai volontari, che, con il loro servizio, e la, loro, passione, hanno consentito che si realizzasse un programma di eventi così ricco; contributo, impegnativo, al pensiero contemporaneo.

Vorrei che ci interrogassimo.

Su cosa si fonda, la società umana; la realtà, nella quale ciascuno di noi è inserito; la realtà, che si è organizzata, nei secoli, in società politica, dando vita alle regole – e alle istituzioni – che caratterizzano l’esperienza dei nostri giorni?

È, forse, il carattere dello scontro? È inseguire soltanto il proprio accesso ai beni essenziali e di consumo? È l‘ostilità verso il – proprio vicino, il proprio lontano? È la contrapposizione tra diversi? O è, addirittura, sul sentimento dell’odio, che si basa la convivenza tra le persone? Se avessimo risposto affermativamente, anche, soltanto, a una di queste domande, con ogni probabilità, il destino dell’umanità si sarebbe condannato da solo; e da tempo. Invece, il crescere dell’amicizia  fra le persone, è quel che ha caratterizzato il progresso dell’umanità.

L’amicizia, come vocazione – incomprimibile – dell’uomo.

Vi è una circostanza, che richiama l’attenzione. Ogni volta che, l’umanità, si è trovata di fronte al baratro – è accaduto con le due guerre, mondiali, novecentesche – ha trovato, dentro di sé, le risorse  morali per ripartire, per costruire un mondo diverso, in cui, il conflitto, lasciasse posto all’incontro. Per immaginare, e progettare, il futuro insieme. E se, questa prospettiva, è naufragata nel decennio, iniziato quasi alla metà degli anni venti, proprio, per difetto di sentimenti di solidarietà e di reciproca disponibilità tra i popoli, ha avuto successo, negli anni Quaranta e Cinquanta, per la comunità  internazionale, con il dar vita alle Nazioni Unite, e con l’avvio della integrazione d’Europa.

Uno spirito, analogo, ha ispirato la nostra Assemblea Costituente, nella quale, opinioni diverse, si sono incontrate in spirito di condivisione, per affermare i valori della dignità, ed eguaglianza, delle persone; della pace; della libertà. Ecco, come nasce la, nostra, Costituzione: con l’amicizia come risorsa, a cui attingere, per superare – insieme – le barriere e gli ostacoli; per esprimere la nostra stessa  umanità.

Per superare, per espellere, l’odio, come misura dei rapporti umani. Quell’odio che, la civiltà umana, ci chiede di sconfiggere nelle relazioni  tra le persone; sanzionandone, severamente, i comportamenti, creando, così, le basi  delle regole  della nostra convivenza. “Homo homini lupus”, di Plauto, e il presunto “stato di natura”, di Thomas Hobbes, hanno, sempre, rappresentato ostacoli per la soluzione dei problemi dell’umanità.

L’aspirazione, non può essere, quella, di immaginare che l’amicizia unisca soltanto coloro che si riconoscono come simili. Al contrario. Se così fosse, saremmo sulla strada della spinta alla omologazione, all’appiattimento. L’opposto, del rispetto delle diversità; delle specificità proprie a, ciascuna, persona.

Non a caso, la pretesa della massificazione, è quel che ha caratterizzato, ideologie e culture, del Novecento, che hanno portato alla oppressione dell’uomo sull’uomo. Le identità plurali, delle nostre comunità, sono il frutto del convergere delle identità  di ciascuno di coloro che le abitano, le rinnovano, le vivificano. Nel succedersi delle generazioni, e delle svolte della storia.

È la somma, dei, tanti “tu”, uniti a ciascun “io”, interpellati dal valore della fraternità, o, quanto meno, del rispetto e della, reciproca, considerazione. È il valore della, nostra, Patria, del nostro, straordinario, popolo – tanto apprezzato e amato nel mondo – frutto, nel succedersi della storia, dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni; di apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua; e diretto a costruire il bene comune.

Amicizia, per definizione, è contrapposizione alla violenza. Parte dalla conoscenza, e dal dialogo. E, anche in questo, l’amicizia assume valore di indicazione politica.

Non mancano, mai, i pretesti, per alimentare i contrasti. Siano la invocazione di contrapposizioni ideologiche; di caratteri etnici; di ingannevoli, lotte di classe;  o la pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi.

Quanto avviene ai confini della, nostra, Europa, dopo l’invasione dell’Ucraina, da parte della Federazione  Russa, ne dà, drammatica,  testimonianza.

Viviamo un tempo di cambiamenti profondi, velocissimi, addirittura tumultuosi in alcuni campi. Tanto da non consentire, spesso, di avvalersi di uno sguardo lungo; che ci aiuti a comprendere, in profondità, quale sia la direzione della nostra vita; immersi nell’affannoso consumo di un eterno presente; immemore del giorno prima; e indifferente al giorno dopo.

Le trasformazioni, incidono sui modelli sociali; sulla produzione e il lavoro; ma anche sugli abiti mentali; sulla stessa cultura; sulle aspettative delle donne e degli uomini.

Tanti, descrivono, il nostro, come il tempo dell’individuo. L’individuo, che sente di avere opportunità  e respiro, mai raggiunti prima. È giusto, cogliere, in questo processo, il segno positivo: in termini di comprensione del proprio ruolo, della propria responsabilità, dei propri diritti. Ma occorre, anche, saperne leggere i rischi di aspetti critici, di distorsioni.

L’auto-affermazione dell’io, nella sua più, assoluta, centralità in realtà nella sua solitudine, appare priva di qualunque senso. Il concetto di individuo, rischierebbe di separarsi da quello di persona. L’affermazione di sé – uno dei motori della vita comunitaria – vale, in realtà, se è inserita nella comunità in cui si è nati, o in cui si è scelto di vivere; e se contribuisce alla sua crescita.

Vorrei attirare, ora, la vostra attenzione, su un tema, ricco di suggestioni, ed evocativo; che si inserisce, a mio giudizio, nel filone di riflessione sul rapporto tra amicizia e istituzioni.

Nel dibattito pubblico, si cita, sovente, il “diritto alla felicità”, elencata – come da perseguire – assieme a quelli alla vita e alla libertà, nella Dichiarazione di indipendenza, del 4 luglio 1776, degli Stati Uniti.

È già interessante notare l’influenza del pensiero di esponenti della cultura del nostro Paese su quel testo. Nel confronto tra Beniamino Franklin e il filosofo napoletano Gaetano Filangieri, fu, infatti, l’insegnamento di quest’ultimo a suggerire di sostituire  alla espressione “diritto alla proprietà” quella relativa alla felicità.

Non vi è definizione equivalente  nel testo della nostra Carta costituzionale; eppure, vi sono pochi dubbi, circa il fatto che, gli articoli della Costituzione, delineino una serie di diritti, e chiedano, alla Repubblica, una serie di azioni positive, per conseguire condizioni che rendano gratificante l’esistenza; sia pure senza la pretesa che la felicità sia una condizione permanente; quasi che la vita, con le sue traversie, non introduca momenti di segno diverso.

E’ sufficiente, riferirsi, anzitutto, all’art. 2 della Carta, dove si prevede che – la Repubblica – deve riconoscere, e garantire, i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle – formazioni – sociali in cui si svolge la sua personalità; e deve richiedere l’adempimento dei doveri, inderogabili, di solidarietà. E, all’art. 3, che chiede, alla Repubblica, di rimuovere gli ostacoli, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; dopo aver sancito che, tutti i cittadini, hanno pari dignità sociale, e sono uguali davanti alla legge. È, cioè, la dimensione comunitaria; sono le relazioni sociali, a determinare la concretezza di esercizio dei diritti.

Ecco allora: le nostre istituzioni, sono basate sulla concordia sociale, sul perseguimento – attraverso la coesione, dunque la solidarietà – di sentimenti di rispetto e di collaborazione: l’amicizia, riempie questi rapporti, rendendoli condizione per la felicità. Sono, i sentimenti e i comportamenti umani che esaltano la vita della comunità. Il benessere, consentito dalla pace – di cui, sino a ieri, ha potuto godere l’Europa – è frutto di questa visione. È la discordia, che lo pone a rischio. È un tema universale.

L’Onu, dieci anni fa, ha definito, il 20 marzo, Giornata Internazionale della Felicità, invitando, tutti gli Stati membri; le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite; altri organismi internazionali e regionali; così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative, e i singoli individui, a celebrare, questa ricorrenza, in maniera appropriata, anche attraverso attività, educative, di crescita della consapevolezza pubblica (…).

Nell’occasione, il Segretario, generale, dell’epoca, Ban Ki-moon ha ribadito: “Felicità, è aiutare gli altri. Quando, con le nostre azioni, contribuiamo al bene comune, noi stessi ci arricchiamo. È la solidarietà – diceva – che promuove la felicità”. L’amicizia, come è evidente, non è una questione intimista. Nasce, anzitutto, dal riconoscere l’altro – nella sua diversità – uguale a noi stessi.

Ecco, ancora una volta, perché il sentimento dell’amicizia supera la qualità – che sovente gli viene attribuita – di mera terapia contro la solitudine; di edulcorante dell’esistenza; e riconferma, il suo valore, di scelta sociale e politica; su cui, nella dimensione della comune appartenenza all’unica famiglia umana – qui ricordata, giorni fa dal Cardinale Zuppi – e nella dimensione  dell’incontro, fondare la società, il rapporto con gli altri popoli.

Sono trascorsi ottant’anni, dal convegno di Camaldoli, nel luglio del 1943, nel quale, un nucleo di intellettuali cattolici, provò a delineare, le caratteristiche e i principi, di un nuovo ordinamento democratico. La dittatura, fascista, si stava consumando; ma ancora avrebbe causato – all’Italia e all’Europa – lutti, devastazioni, crudeltà, sofferenze.

A Camaldoli, provarono – nella temperie più drammatica – a disegnare una democrazia, un ordinamento  pluralista; fondato, sull’inviolabile primato della persona; e sulla preesistenza delle comunità rispetto allo Stato.

Perché il bene comune è responsabilità di tutti.

Come, poc’anzi, ricordavo, in Italia, abbiamo la fortuna di una Costituzione, orientata al rispetto della dignità di ogni persona; alle, sue, possibilità di – realizzazione – personale; e, quindi, al perseguimento della felicità di ciascuno; nel rispetto del bene comune. Ne troviamo consapevolezza  nelle, prime, parole del, cosiddetto, Codice di Camaldoli: “L’uomo è, per sua natura, un essere socievole: sussiste, cioè, fra gli uomini una naturale  solidarietà, fratellanza e complementarietà, per cui le esigenze delle singole, personalità non possono essere pienamente soddisfatte che nella società”.

E’ il binomio persona-comunità, a sorreggere un ordinamento che non deve essere intrusivo, ma diretto a valorizzare  pluralità e libertà. Papa Francesco, nell’enciclica “Fratelli tutti”, ha parlato di “amicizia sociale” come orizzonte di un nuovo, più intenso, dialogo tra le generazioni; tra la cultura popolare e quella accademica; tra l’arte, la tecnologia, l’economia.

Un rinnovato  umanesimo nel tempo dell’innovazione, in cui avanzano le neuroscienze, la robotica, l’intelligenza artificiale, l’ingegneria genetica, le frontiere della medicina, le tecnologie digitali.

L’amicizia sociale è una dimensione che lega la comunità, nell’affrontare le sfide della storia. Favorire la dimensione sociale, dell’amicizia, è un impegno a cui sono chiamate, tutte, le  pubbliche istituzioni; ma, con esse, anche le forze sociali, economiche; le energie civili. Ora, siamo di fronte a un’altra, grande, e grave evidenza, che comporta responsabilità.

L’ambiente, che abbiamo incrinato e impoverito, Non si possono ignorare  gli appelli dell’Onu, attraverso le parole, allarmate, del suo Segretario Generale.

Proprio qui, in Romagna, ne abbiamo vissuto, drammatica, sottolineatura. L’alluvione, ha lasciato ferite profonde. I cittadini della Romagna – e i loro sindaci – non vanno lasciati soli. La ripartenza delle comunità; e, con esse, di ogni loro attività, è una priorità, non soltanto per chi vive qui, ma per l’intera Italia.

L’amicizia, è fonte di speranza. La speranza, nasce da un sentire comune. Da un sostegno offerto. Da testimonianze, coerenti. Da un futuro, immaginato insieme.

“La speranza è il respiro della vita umana” ha scritto Jurgen Moltmann. E lo è, anche, della vita di ogni comunità. Non vogliamo rinunciare, oggi, alla speranza della pace in Europa.

L’Europa, che conosciamo, è nata da un reciproco impegno di pace che, i popoli e gli Stati, si sono scambiati, dopo l’abisso della seconda guerra mondiale. Su quella pace, sono stati edificati i nostri ordinamenti di libertà, di democrazia, di diritto eguale.

Su quella pace, è cresciuta la cultura, la civiltà degli europei. Non ci stancheremo di lavorare per fermare la guerra. È contro lo strumento della guerra, che siamo impegnati nell’impedire una deriva di aggressioni del più forte contro il più debole.

Per costruire, una pace giusta. Una pace giusta, non può dimenticare il dramma dei profughi. I fenomeni migratori, vanno affrontati per quel che sono: movimenti globali, che non vengono cancellati da muri o barriere.

Nello studio, dell’appartamento, dove vivo, al Quirinale, ho collocato un disegno, che raffigura  un ragazzino, di quattordici anni, annegato, con centinaia di altre persone nel Mediterraneo. Recuperato il suo corpo, si è visto che, nella fodera della giacca, aveva cucita la sua pagella: come fosse il suo passaporto; la dimostrazione, che voleva venire in Europa – per studiare.

Questo disegno, mi rammenta che, dietro numeri e percentuali delle migrazioni, che spesso elenchiamo, vi sono, innumerevoli, singole, persone, con la loro storia, i loro progetti, i loro sogni, il loro futuro.

Il loro futuro: tante volte cancellato.

Certo, occorre un impegno, finalmente concreto e costante, dell’Unione Europea. Occorre sostegno ai Paesi di origine dei flussi migratori. E’ necessario rendersi conto che, soltanto ingressi regolari, sostenibili, ma in numero adeguatamente ampio, sono lo strumento per stroncare il, crudele, traffico di esseri umani: la prospettiva, e la speranza di venire, senza costi e sofferenze disumane, indurrebbe ad attendere turni di autorizzazione legale.

Inoltre, ne verrebbe assicurato inserimento lavorativo ordinato; rimuovendo la presenza nascosta, incontrollabile, di chi vaga senza casa, senza lavoro e senza speranza; o di chi vive ammassato in centri di raccolta, sovente mal tollerati dalle comunità locali.

Occorre percorrere strade diverse.

Se non se ne avverte il senso di fraternità  umana, per una miglior sicurezza. Anche come investimento sul futuro delle relazioni, con i popoli di origine, che saranno – presto – sempre più protagonisti della scena internazionale.

Amicizia. Comincia da noi. Dal, nostro, modo di essere. Dalla, nostra, voglia di dare più umanità al mondo che ci circonda. La speranza, è in voi giovani. Prendetevi quel che è vostro. Comprese le  responsabilità; e i doveri. Voi avvertite, in misura genuina, tutti questi problemi. Avete, la sensibilità, di sentirvi pienamente europei. Più degli adulti. Avete, conoscenze adeguate, per affrontare, senza timore, le trasformazioni digitali  e tecnologiche, che sono già in atto.

Avete la coscienza che l’ambiente è parte della nostra vita sociale. Che non ci sarà giustizia sociale senza giustizia ambientale; e viceversa. Non vi chiudete, non fatevi chiudere in tanti mondi separati. Usate i social, sempre con intelligenza; impedite che vi catturino, producendo una somma di solitudini, come diceva il mio Vescovo di tanti anni addietro. Non rinunciate, mai, alle  relazioni personali; all’incontro personale; all’affetto dell’amico; all’amore; alla gratuità dell’impegno.

Il mondo, è migliore, se lo guardiamo con gli occhi giusti. Ci aiuta, in questo caso, ancora, la nostra Costituzione. In un discorso, tenuto alla Università di Parma, nel 1995, Giuseppe Dossetti – che, dell’Assemblea Costituente, aveva fatto parte – rivolse un appello ai giovani: “non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del ‘48, solo perché opera di una generazione ormai trascorsa – disse -.  La Costituzione americana è in vigore da duecento anni, e, in questi due secoli, nessuna generazione l’ha rifiutata, o ha proposto di riscriverla integralmente; ha soltanto operato, singoli emendamenti puntuali, al testo originario dei Padri di Philadelphia; nonostante che, nel frattempo, la società americana, sia passata, da uno Stato di pionieri, a uno Stato, oggi, leader del mondo…E’ proprio, nei momenti di confusione, o di transizione indistinta, che  le Costituzioni adempiono la, più vera, loro funzione: cioè, quella di essere, per tutti, punto di riferimento e di chiarimento. Cercate, quindi, di conoscerla; di comprendere, in profondità, i suoi principî fondanti; e, quindi, di farvela amica e compagna di strada… vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento; per qualunque cammino vogliate procedere, e per qualunque meta vi prefissiate”.

Facciamo nostre queste parole. Quest’anno, il Meeting ribadisce la, sua, ragione fondativa: “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, come suona, il suo nome, per esteso. Ce n’è bisogno. Fate che, speranza e amicizia, corrano, anche, sulle vostre gambe. E si diffondano, attraverso le vostre  voci.



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