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Cervelli in fuga e gap europeo che avanza

Tra il 2012 e il 2021 circa un milione di connazionali si è trasferito all’estero. Tra costoro circa 250mila sono risultati laureati in cerca di stipendi più alti di quelli del nostro Paese. All’estero mediamente i nostri medici, ingegneri, specialisti Ict e altri ancora riescono a percepire almeno un terzo di retribuzione in più già per il primo anno e il doppio dopo un quinquennio di lavoro. Il commento di Raffaele Bonanni, già sindacalista e professore straordinario di Diritto del lavoro

Non c’è economista europeo o mondiale che non sappia che i dati macroeconomici italiani sono pessimi. E infatti debito pubblico, volumi delle produzioni, intensità produttiva, consumi interni e andamento dei salari risultano avere la comune condizione di andare male. E tuttavia la politica non se ne cura, preferisce gonfiare il pallone mediatico del salario minimo anziché dedicarsi ai nodi di fondo in nome di una povertà provocata dalla loro incuria per i fondamentali dell’economia.

La conseguenza viene confermata dai dati macroeconomici che provocano paghe grame. Infatti l’Ocse già all’inizio della pandemia ci aveva avvisato che rispetto agli altri Paesi, nel trentennio 1990-2020, venivano a galla dati molto preoccupanti. I nostri salari erano diminuiti del 2,9%, mentre quelli degli altri Paesi industrializzati erano cresciuti del 20% con picchi francesi e tedeschi oltre il 30%.

Poi nel periodo pandemico, a causa dell’inflazione, la distanza è cresciuta ancora di sette punti. Dello stesso tenore i dati diffusi dall’Ilo, l’autorevole Organizzazione internazionale del lavoro nel cui Global wage report 2022-2023 emerge che la retribuzione media lorda italiana è di 30mila euro annui, mentre la media salariale dei Paesi Ocse raggiunge i 46mila euro.

C’era da aspettarsi questa differenza dato che la produttività italiana era diminuita in modo inarrestabile dal 2001 al 2007. Poi dal 2010 al 2016 è andata peggio: il nostro Paese si è classificato in fondo alla graduatoria insieme alla Grecia. Insomma, dopo la pandemia si è accumulata ancora distanza con i Paesi concorrenti, avendo loro utilizzato il tempo del Covid per rielaborare strategie sui fattori dello sviluppo.

L’Italia invece continua a essere inerme sul sistema educativo, sugli investimenti di ricerca e sviluppo, sulla corruzione, sulle opere pubbliche, nella pubblica amministrazione e sulla giustizia, sul fisco ingiusto ed eccessivo sul lavoro. Tali ritardi si rivelano letali per la produzione della ricchezza nazionale e dunque sui salari.

Ma la ricchezza nazionale risente anche di contratti collettivi inefficienti poco attenti a merito e professionalità. Lo rivela la differenza di retribuzione tra figure professionali apicali rispetto a quelle basse, conseguenza di retaggi culturali politico-sociali. È così difficile comprendere che produttività e meritocrazia generano più reddito per i lavoratori? E che le tasse eccessive sul lavoro erodono i salari?

A questi indicatori si aggiunge il dato più rappresentativo per sondare il grado di fiducia nel futuro dei cittadini: la demografia. Si mischiano scarso sostegno alla maternità con la perdita di giovani attratti da altri mercati del lavoro più accoglienti e generosi. Dal 2012 al 2021 sono stati circa un milione gli italiani che si sono trasferiti all’estero.

Tra costoro circa 250mila sono risultati laureati in cerca di stipendi più alti di quelli italiani. Infatti all’estero mediamente i nostri medici, ingegneri, specialisti Ict e altri ancora riescono a percepire almeno un terzo di retribuzione in più già per il primo anno e il doppio dopo un quinquennio di lavoro. Corrono all’estero sia laureati delle regioni del nord sia del sud. Però il nord li compensa con l’arrivo di laureati meridionali, mentre al sud le perdite sono nette.

Queste emergenze dovrebbero suggerire un piano nazionale per fronteggiare la fuga dei cervelli con soluzioni forti per inserirli nella pubblica amministrazione, nelle università, nella scuola, nella ricerca e innovazione. Ma per aumentare il reddito dei lavoratori servono anche meno tasse sui salari e la promozione della produttività.

Salari bassi e giovani che fuggono all’estero sono facce della stessa medaglia, e meritano un disegno unico. Bisogna però abbandonare l’assistenza pelosa e politica dei bonus, per premiare chi merita e per includere i giovani nel lavoro. Ecco il nuovo paradigma per scardinare demagogia e populismo.

*L’articolo è stato pubblicato sul numero 194 della rivista Formiche

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