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Dma, sei giganti web nel mirino di Bruxelles. Le incognite secondo da Empoli

Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft sono state avvertite dalla Commissione europea: adeguarsi entro il tempo indicato o rischiare multe salate, se non qualcosa in più. L’Europa dunque si muove per salvaguardare il proprio mercato e gli utenti. Il presidente di I-Com, Stefano da Empoli: “Prima importante decisione della fase attuativa del Dma. Ma restano due incognite”

Sei mesi di tempo, non un giorno di più. Il messaggio dell’Unione europea a sei aziende Big Tech suona più come un’ultima chiamata: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft dovranno adeguarsi al Digital Markets Act (Dsa), il regolamento sui mercati digitali approvato dall’Unione, in quanto diversi servizi sono stati bollati come gatekeeper. In particolare, questo status è stato individuato dalla Commissione europea per ventidue servizi: per la rete sociale di TikTok, Facebook, Instagram e LinkedIn; per l’intermediazione di Google Maps, Google Pay, Google Shopping, Amazon Marketplace, App Store e Meta Marketplace; per la pubblicità di Google, Amazon e Meta; per i servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero; per la condivisione dei video YouTube e per la ricerca su Google Search.

È la prima volta che la Commissione designa dei gatekeeper, segnando di fatto una svolta storica nel nostro continente. La valutazione è arrivata dopo 45 giorni di riesame, in seguito ai quali sono state riscontrate incongruenze relative alla concorrenza e all’innovazione sul web, oltre che a minare il diritto degli utenti nella scelta dei servizi. L’obiettivo del Dma è quello di creare un ambiente sano, con mercati equi e non sleali dove i grandi del settore (chiamati appunto gatekeeper) dominano sui pesci più piccoli.

“Quella di oggi è la prima importante decisione della fase attuativa del Dma”, commenta a Formiche.net il direttore di I-Com, Stefano da Empoli. “E apre ufficialmente per le sei aziende designate come gatekeeper un conto alla rovescia che durerà sei mesi per adeguare i propri servizi ai divieti e alle obbligazioni previsti dal Dma. Nelle speranze della Commissione europea entro questa prima scadenza e sempre di più successivamente dovremmo avere un mercato più concorrenziale e che offre maggiori scelte ai consumatori”.

L’esperto vede due grandi incognite. “A più breve termine, il rischio è che queste imposizioni riducano la qualità della user experience per chi continuerà ad utilizzare i servizi attualmente disponibili (presumibilmente la netta maggioranza degli utenti). Nel più lungo orizzonte, bisognerà vedere se l’impatto sui modelli di business che indubbiamente si verificherà aumenterà o ridurrà l’innovazione. Teniamo conto che a farla negli ultimi 10-15 anni nel mondo digitale sono stati soprattutto gli attuali gatekeeper e qualche altra azienda attualmente sotto soglia o addirittura neppure nata in futuro per non essere designata tale potrebbe preventivamente scegliere di non investire in servizi digitali adiacenti al proprio mercato core, dunque di fatto autoriducendosi la propria capacità di innovare”.

D’altronde è senz’altro vero che, almeno in teoria, “dovrebbe determinarsi una maggiore contendibilità dei diversi sotto-mercati digitali”, continua da Empoli. “Occorrerà capire quale dei due effetti di segno opposto prevarrà. Qualche rischio che le cose non vadano nel verso indicato dalla Commissione e dalle altre istituzioni europee c’è e non va sottovalutata. E dunque in fase di attuazione sarebbe utile tenere conto del contesto più ampio di breve ma soprattutto di medio-lungo termine per evitare che inintenzionalente si vada in una direzione diversa da quella immaginata”, conclude il presidente.

A mancare all’appello sono Gmail, Outlook e Samsung, che Bruxelles considera a tutti gli effetti come gatekeeper (riconosciuti per via del fatturato in territorio europeo e del numero di utenti attivi), ma le loro aziende madri hanno presentato ragionevoli motivazioni per dimostrare che questi servizi non costituiscono punti di accesso alla piattaforma di base. Pertanto, sono stati esentati.

Diverso il discorso per Microsoft ed Apple. Dopo le lamentele delle due società, la Commissione sta indagando su quattro casi differenti per vedere se alcuni servizi delle due aziende (Bing, Edge, Microsoft Advertising e iMessage) possano essere ugualmente escluse. La giustificazione presentata da Microsoft è che il suo motore di ricerca dovesse essere escluso dal Dma, in quanto la sua quota di mercato non è assimilabile a quella di Google, molto più alta e dunque soggetta agli obblighi della legge. Da Apple, invece, hanno sottolineato come iMessage non è Whatsapp, perché non raggiunge i 45 milioni di utenti e quindi non è considerabile come gatekeeper. Dipende però dalle prospettive: essendo disponibile su dispositivi come iPhone, iPad e Mac, gli utenti raggiunti superano in realtà la soglia fissata da Bruxelles. A ogni modo, entro cinque mesi di tempo dovrebbe arrivare una risposta alle giustificazioni presentate.

Per quanto riguarda le sei Big Tech, si attende che presentino le loro istanze. Il regolamento europeo prevede infatti che sia le aziende a fugare ogni dubbio sui loro servizi, attraverso delle relazioni semestrali che devono essere presentate alla Commissione in cui venga evidenziata l’ottemperanza degli obblighi previsti dal Dma. Qualora ciò non avvenga, il rischio è di incappare in multe salatissime. L’ammenda non può superare il 10% del fatturato mondiale dell’azienda, ma nel caso in questa fosse recidiva la percentuale può raddoppiarsi. Nel momento in cui le violazioni avvengono frequentemente, la Commissione può anche adottare ulteriori misure più drastiche. Appuntamento dunque al 24 marzo 2024, l’ultimo giorno utile.

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