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Perché il dibattito sulla Via della Seta è differente. L’analisi di ChinaMed

ChinaMed ha confrontato la discussione mediatica su un’eventuale uscita italiana dall’iniziativa Belt and Road (Bri), sottolineando l’attenzione maggiore in Italia, le diverse interpretazioni delle motivazioni italiane e l’influenza della rivalità tra Cina e Stati Uniti nelle relazioni con Roma

La prima edizione del nuovo “ChinaMed Observer” è stata dedicata a un’analisi delle prospettive dei commentatori cinesi e italiani sulla partenza all-of-assured dell’Italia dalla Belt and Road (Bri). Ossia uno dei grandi temi che il governo italiano sta affrontando sia attraverso colloquio di alto livello all’interno di consessi internazionali — come l’incontro al G20 tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il premier cinese Li Qiang — sia tramite più informalo (e forse operativi) faccia a faccia come quello ospitato a Roma in questi giorni con Che Wenqing, membro del PolitBuro e capo della Commissione affari politici del Partito (che ha visto il ministro Antonio Tajani e il sottosegretario Alfredo Mantovano).

ChinaMed è una piattaforma di ricerca promossa dal Torino World Affairs Institute, parte del TOChina Hub sviluppato dall’Università di Torino. Nell’analisi, firmata a Leonardo Bruni e Adam Koi, si mette in evidenza sia le convergenze che le divergenze nel discorso dei media in Italia e in Cina riguardo alla potenziale uscita dell’Italia dalla Bri, un evento di politica estera cruciale per entrambe le nazioni. Dall’esame e dal confronto delle prospettive presentate da ChinaMed emergono tre diverse osservazioni degne di nota.

In primo luogo, l’ipotesi di ritiro dell’Italia dalla Bri ha suscitato molta più attenzione e apprensione nei media italiani che in quelli cinesi. Sebbene non sia stato possibile coprire tutti i casi, il volume di articoli che hanno discusso la questione nei media italiani supera di gran lunga quello dei media cinesi. Questa discrepanza sottolinea la disparità percepita nelle relazioni economiche e diplomatiche tra l’Italia, una media potenza, e la Cina, una forza globale in crescita.

In secondo luogo, per quanto riguarda le motivazioni di Roma, non sorprende che i commentatori dei due Paesi abbiano offerto valutazioni diverse della situazione. I commentatori cinesi hanno in gran parte respinto le preoccupazioni legate al commercio, attribuendo la decisione dell’Italia a influenze sbagliate, provenienti da Washington o dai suoi stessi politici. Al contrario, gli analisti e i giornalisti italiani hanno preso più seriamente le considerazioni economiche, anche se non è stato raggiunto un consenso in merito. Nel complesso, è chiaro che l’escalation della rivalità tra Cina e Stati Uniti è un fattore cruciale che sta plasmando la traiettoria attuale e futura delle relazioni sino-italiane.

Infine, i commentatori di entrambe le parti hanno espresso diversi livelli di fiducia nella prospettiva del mantenimento, in continuità, delle relazioni sino-italiane. Il futuro di queste relazioni è destinato a dipendere dalle azioni e dalle decisioni del governo italiano nei prossimi mesi. Le dinamiche in atto in questa partnership saranno attentamente monitorate non solo dai media di entrambi i Paesi, ma anche da ChinaMed. La partita in ballo è di altissimo livello: l’Italia è — e probabilmente presto non sarà più — l’unico Paese del G7 ad aver aderito alla Bri, ma molti altri hanno legami con Pechino, nonostante sia avviata la stagione del de-risking.

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