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L’equilibrio fragile delle pensioni in bilancio secondo Cazzola

La caccia al pensionato benestante è diventata prassi talmente diffusa e ripetuta che neppure i soggetti colpiti dai tagli (ripetuti in vario modo tutti gli anni) non si azzardano nemmeno a protestare per timore di essere zittiti e vilipesi, sottoposti al comune ludibrio per aver osato difendere un privilegio

Per un governo inserire in una legge di bilancio qualche norma in tema di pensioni e come recitare un requiem aeternam quando ci si raccoglie sulla tomba di una cara persona defunta. Qualcuno sarà portato a pensare: “Ovvio. I pensionati in questo Belpaese per vecchi sono più di 16 milioni e quasi tutti vanno a votare per riflesso pavloviano, per cui è bene prestare loro attenzione. In realtà le cose stanno diversamente. Le norme – nel bene come nel male – riguardano i pensionandi, cioè coloro che devono ancora andare in quiescenza e che incontrano nella politica e nei sindacati tanti difensori. Perché l’universo delle persone già pensionate è divenuto – da più di vent’anni a questa parte sia pure con interventi di ampiezza diversa – una fonte di entrate sicure, significative e durature.

Dove sta il meccanismo? L’assegno pensionistico è soggetto per legge ad una rivalutazione automatica in ragione degli incrementi del costo della vita (dal 100% fino a tre volte l’importo minimo; del 90% da tre a cinque volte; del 75% al di sopra di 5 volte). Va da sé che negli anni passati, quando l’inflazione era un ricordo di altri tempi, gli incrementi erano modesti (tuttavia sempre appetibili per i governi); ora invece essendo ripartita l’inflazione la perequazione automatica assume un certo rilievo per i pensionati e diventa un aumento netto di spesa per le casse pubbliche. Che cosa succede nelle leggi di bilancio? Per ridurre la spesa o racimolare entrate (che possono essere anche importanti) le leggi di bilancio provvedono a manipolare la scala delle rivalutazioni. In questo modo il minor costo della rivalutazione prevista diventa un’entrata.

L’intervento più invasivo si effettua di solito salvaguardando la perequazione al 100% fino ad un predefinito multiplo del trattamento minimo, rimodulando a salire l’aliquota o addirittura sospendendone l’applicazione per un certo numero di anni. Con questo giochino i governi tappano altri buchi quasi sempre a favore dei pensionandi. Il bello è che nessuno protesta. È sufficiente che il governo affermi di aver tutelato le pensioni più basse a scapito di quelle d’oro, per poter fare la figura del giustiziere. La caccia al pensionato benestante è diventata prassi talmente diffusa e ripetuta che neppure i soggetti colpiti dai tagli (ripetuti in vario modo tutti gli anni) non si azzardano nemmeno a protestare per timore di essere zittiti e vilipesi, sottoposti al comune ludibrio per aver osato difendere un privilegio.

Tutto ciò premesso, immaginiamo che anche nella prossima legge di bilancio saranno riconfermate se non addirittura rafforzate le manipolazioni al ribasso inserite in quella per l’anno in corso; e questa sarà una delle poche voci postate nelle entrate. Mentre per i pensionandi si pasticcerà per allungare fino all’inverosimile il periodo di transizione allo scopo di ritardare la “resa” ai criteri e requisiti previsti nella riforma Fornero.

Troviamo conferma di questa previsione in un articolo di Marco Rogari sull’autorevole quotidiano economico Il Sole 24 Ore dove vengono anticipati gli scenari attesi nel campo delle pensioni. “La spesa per pensioni non frena la sua corsa, trainata anche dal costo dell’indicizzazione degli assegni all’inflazione. Anche se, per effetto dell’aggiornamento dei dati sul Pil, il rapporto delle uscite previdenziali con il Pil si dovrebbe attestare, nella versione finale del documento, al 15,5% nel 2023 e al 15,9% nel 2024, quindi con una previsione al ribasso rispetto a quella di cinque mesi fa (rispettivamente 15,8% e 16,2%). In ogni caso nei prossimi anni la spesa crescerà sostanzialmente al ritmo di oltre 20 miliardi l’anno, con un’andatura destinata a rimanere sostenuta. Come è ormai noto – prosegue Rogari –, proprio a causa di questo “cortocircuito” e delle scarse risorse a disposizione per la manovra, lo spazio per nuovi interventi sarà ridotto al minimo. Con il risultato di aprire la strada al prolungamento di un anno delle “misure ponte”, come Quota 103 e Ape sociale, e ad alcune interventi mirati per garantire maggiore copertura previdenziale ai lavoratori “contributivi” (in primis gli under 35) e per rilanciare la previdenza complementare. Del pacchetto dovrebbe fare parte – conclude Rogari – anche la nuova Ape donna e l’aumento delle “minime”, che dovrebbe essere finanziato dalla nuova sforbiciata alle rivalutazioni degli assegni. Che colpirà le fasce più ricche”.

Sono circolate, poi, altre ipotesi: alcune vecchie come il cucco, altre degne di essere ospitate su di una riedizione del libro “Cuore”. La prima riguarda la riproposizione di una norma già introdotta nella manovra per il 2023 ovvero dell’incentivo a rimanere al lavoro anziché approfittare delle vie d’uscita anticipate. L’anno scorso, presentando la norma, il ministro Giorgetti dedicò il vernissage a Roberto Maroni, dimenticando un piccolo particolare: nell’incentivazione prevista dalla riforma Maroni del 2004 il lavoratore che rinviava il pensionamento incamerava nello stipendio per un congruo numero di anni l’importo corrispondente, esentasse, del 33% dell’aliquota pensionistica complessiva a carico tanto del datore (24%) quanto del dipendente (9%). Una vera cuccagna che si avvicinava, nel caso delle qualifiche più elevate, ad un aumento del 50% dello stipendio. La norma dell’anno scorso consentiva al lavoratore – disposto a ritardare il pensionamento – l’equivalente del 9% a suo carico, senza che fossero chiariti gli aspetti di carattere fiscale, affidati ad un successivo decreto ministeriale, che è stato predisposto solo da poco tempo. L’altra ipotesi “buonista” è quella a cui tutte le “anime belle” hanno pensato quando hanno detto la loro in tema di pensionamento: la manfrina del part time tra l’anziano dipendente che esce e il giovane che entra al suo posto. Una misura che non ha mai funzionato. Pare che ci sia l’intenzione di andare a ripescare all’interno “degli antri muscosi e dei fori cadenti” in cui è confinata, dal 2007 in poi – ignorata da Dio e dagli uomini – la previdenza complementare. Vedremo. Le idee che circolano in proposito sono le stesse di sempre.

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