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Legami pericolosi con gli atenei della difesa cinese. L’Italia nel report Datenna

Il nostro Paese è tra quelli con il maggior numero di collaborazioni con i “Sette figli della difesa nazionale”, cioè le altrettante università finanziate da Pechino per contribuire allo sviluppo delle forze armate. I settori più colpiti: ingegneria, economia e management, scienze matematiche, informatiche e dei dati

L’Italia è tra i Paesi europei con il maggior numero di collaborazioni con i “Sette figli della difesa nazionale”, ossia gli altrettanti atenei pubblici cinesi finanziati dal ministero dell’Industria e della Tecnologia informatica. Specializzati nella ricerca a fini militari, sono accusati di avere legami molto stretti con l’Esercito popolare di liberazione, cioè le Forze armate della Cina. È quanto emerge da un recente rapporto pubblicato dalla società olandese Datenna in cui sono state analizzate 416 collaborazioni accademiche tra le venti principali università cinese e gli atenei europei.

Il primato spetta al Regno Unito, seguito dalla Francia e dai Paesi Bassi. Segue la Russia. Poi l’Italia. Il dossier cita il caso del Politecnico di Torino, che ha quattro partnership istituzionali con “soggetti accademici” cinesi “a rischio”. Due fanno parte del gruppo di “Sette figli della difesa nazionale”: Beijing Institute of Technology e Harbin Institute of Technology. Tra le istituzioni europee più coinvolte ci sono lo svedese KTH Royal Institute of Technology, l’Università di Edimburgo e la prestigiosa London School of Economics and Political Sciences.

Gli analisti di Datenna evidenziano che, in uno scenario seguendo dalla competizione anche tecnologica con la Cina, le collaborazioni accademiche sono sempre più importanti nel contesto dei controlli sulle esportazioni. In particolare, quelle con i “Sette figli della difesa nazionale” cinese “devono essere affrontate con estrema cautela e le valutazioni devono essere fatte caso per caso per evitare un trasferimento indesiderato di conoscenze su tecnologie critiche”.

Gli Stati Uniti si sono mossi già nel 2020 per far fronte ai rischi di spionaggio accademico. Un decreto esecutivo dell’allora presidente Donald Trump ha vietato il rilascio di visti per studi universitari a cittadini cinesi affiliati a soggetti coinvolti nella strategia cinese della cosiddetta fusione militare-civile, che vede Pechino avvalersi di istituzioni civili per acquisire tecnologia straniera per le proprie forze armate. Il provvedimento, tuttora in vigore con il presidente Joe Biden, riguarda in particolare gli ex allievi dei “Sette figli della difesa nazionale”.

I governi invocano controlli più severi degli asset economici per salvaguardare la sicurezza nazionale e i vantaggi tecnologici, osservano gli analisti. E in questo senso “la comprensione delle implicazioni del trasferimento di conoscenze nelle collaborazioni accademiche rimane di primaria importanza, in particolare nei settori di valore strategico”, come ingegneria, economia e management, scienze matematiche, informatiche e dei dati, concludono.

I risultati dell’indagine sono in linea con quelli di un recente rapporto del centro studi tedeschi Merics che, con i dati dello strumento di ricerca SciVal, aveva analizzato le collaborazioni di ricerca tra la Cina e i suoi maggiori partner europei. Dal 2013 al 2022 le co-pubblicazioni tra Cina e Italia sono quelle cresciute di più in percentuale, del del 258%.

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