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Ostaggi e tregua. La missione del capo della Cia in Medioriente

Israele, Qatar, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Fitta agenda per Burns, numero uno dell’agenzia. Come dimostra l’arrivo del sottomarino classe Ohio, la priorità è la liberazione degli ostaggi

Benjamin Netanyahu continua a ripeterlo: “Non ci sarà alcun cessate il fuoco senza il ritorno dei nostri ostaggi, lo diciamo sia ai nostri nemici che ai nostri amici. Continueremo finché non li sconfiggeremo”, ha aggiunto il primo ministro israeliano ieri durante una visita alla base aerea di Ramon, nel deserto del Negev. Queste parole sono state pronunciate nel giorno in cui è emerso che William Burns, capo della Cia, avrebbe affiancato e rafforzato la diplomazia itinerante di Antony Blinken, segretario di Stato, con un tour nel Medio Oriente. Il numero uno di Langley è atterrato ieri in Israele con un’agenda molto intensa: incontri non solo con il primo ministro, ma anche con Yoav Gallant, ministro della Difesa, David Barnea, capo del Mossad, e altri esponenti dell’intelligence e della difesa. Successivamente, sono previsti incontri in Qatar, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi Uniti.

Secondo quanto riportato da Axios, la missione di Burns prevede diversi obiettivi: lavorare per il rilascio dei circa 240 ostaggi ancora nelle mani di Hamas, evitare un allargamento del conflitto a livello regionale, ottenere dalle autorità israeliane il via libera per una pausa umanitaria nell’enclave palestinese e, in generale, rafforzare l’impegno americano nella cooperazione dell’intelligence, soprattutto nei settori dell’antiterrorismo e della sicurezza.

Il Qatar gioca un ruolo centrale nella questione degli ostaggi, come dimostra la recente missione a Doha di Barnea, accompagnato a sorpresa dal suo predecessore Yossi Cohen. L’Egitto è fondamentale per l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Gran parte della popolazione giordana è di etnia palestinese, il che pone il Paese, forte alleato degli Stati Uniti, in una posizione particolarmente delicata. Burns, già ambasciatore in Giordania, può contare su un ottimo rapporto con il re Abd Allah II. Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno normalizzato le relazioni con Israele tramite gli Accordi di Abramo tre anni fa, godono di un particolare rapporto con l’Arabia Saudita.

Riguardo al rischio di un allargamento del conflitto, gli Stati Uniti hanno fatto sapere all’Iran e ai suoi proxy, in particolare a Hezbollah in Libano, di essere pronti a intervenire per sostenere Israele. Inoltre, recentemente un sottomarino classe Ohio è giunto nell’area di responsabilità del Comando centrale degli Stati Uniti in Medio Oriente. Si tratta di un sottomarino lanciamissili balistici a propulsione nucleare, che si unisce a due portaerei statunitensi già presenti di fronte a Israele (USS Gerald R. Ford e USS Dwight D. Eisenhower), con a seguito un gruppo d’assalto composto da vari incrociatori lanciamissili e cacciatorpedinieri.

La presenza del classe Ohio conferma che la priorità di Israele e degli Stati Uniti è la liberazione degli ostaggi. Questi sottomarini possono ospitare una sessantina di operatori delle forze speciali (in particolare, i Navy Seals) all’interno del Dry Dock Shelter. Nei giorni scorsi, i media israeliani hanno riferito che il Mossad e lo Shin Bet avrebbero istituito una nuova unità speciale denominata Nili con lo scopo specifico di individuare e uccidere i leader militari di Hamas (analogo all’operazione condotta dall’allora primo ministro Golda Meir con l’Operazione Ira di Dio, in vendetta al massacro perpetrato da Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco del 1972).

Nili è l’acronimo della frase ebraica “Netzah Yisrael Lo Yeshaker”, tratta dal Libro della Genesi (Samuele) che significa “La gloria di Israele non mentirà”. Ma è anche un riferimento a un’organizzazione segreta di spionaggio israeliana che operava in chiave filo-britannica in Palestina durante la Prima guerra mondiale.

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