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È il momento di una Generazione Europa. Il commento di D’Anna

Vivisezionata e radiografata politicamente, l’Europa è già e sarà al centro delle polemiche e del dibattito elettorale dei prossimi sei mesi. Tutti a parlarne, pochi a indicarne soluzioni per fare uscire l’Unione dall’avvitamento, probabilmente esiziale, che sta attraversando. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Sospesa fra mito e storia, l’Europa rischia di dare ragione agli antichi filologi che sostenevano che nel greco arcaico il nome della mitologica ninfa, figlia dell’oceano del cielo e della terra, significasse “sole che tramonta ad Occidente”, e non semplicemente “continente” come poi venne ritradotto.

La babele politica dell’Unione Europea che, come ha sottolineato Mario Draghi, ”ha dissolto il modello originario ed attraversa un momento critico”, sta di fatto trasformando il colossale piano di rilancio NextGenerationEU da 806,9 miliardi di euro in una fallimentare last generation.

A che serviranno, senza una profonda modifica dell’assetto politico dell’Europa con la creazione di un governo federale sovranazionale, le prossime elezioni fra il 6 e il 9 giugno del 2024 per eleggere i nuovi 705 europarlamentari, se non a prolungare l’agonia di un’ Unione paralizzata e inconcludente, con un “mercato comune troppo piccolo e non concorrenziale”?

Nonostante il pessimismo generale e le crescenti spinte masochistiche populiste che attraversano quasi tutti i 27 Paesi membri, le chance per un nuovo paradigma culturale e politico europeo sono rappresentate proprio dalla prossima generazione Europa che si intravede fra le ceneri e le macerie dell’attuale fallimento.

È insieme la proiezione dello spirito della storica conferenza di Messina e del programma Erasmus, dei Trattati di Roma e del varo del Mercato Europeo Comune.

Di particolare rilevanza, riguardo all’attuale frammentazione dell’Unione, il riferimento alla svolta decisiva della Conferenza fondativa del 1955 alla quale parteciparono a Messina Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo.

A 68 anni di distanza la lezione politica della scintilla unitaria che diede vita alla creazione dell’Unione Europa, rimane attualissima: come nella fisica, quando il legame covalente puro fra due molecole si verifica perché gli atomi coinvolti appartengono allo stesso elemento chimico, l’iniziale aggregazione politica sovranazionale si potrà ottenere a partire dai paesi democraticamente omogenei disposti ad adeguare governativamente, legislativamente ed economicamente i loro rapporti.

In altri termini, bisognerebbe ripartire da un nucleo iniziale di Paesi che sono disposti a federarsi, come per esempio potrebbero potenzialmente essere Italia, Spagna, Portogallo, Francia Germania, Belgio, Grecia, Romania, Croazia, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta e forse anche l’Irlanda, non necessariamente in quest’ordine. Attendendo poi le successive adesioni degli stati più nazionalisti e intransigenti, come Polonia, Austria, Ungheria, Danimarca, Svezia, Finlandia, Olanda, Slovacchia, Slovenia. Gli Stati Uniti d’Europa di chi ci sta, insomma, perché – come ha diagnosticato Draghi ed è sotto gli occhi di tutti – “l’Europa così com’è non funziona più, né economicamente, né tantomeno politicamente”.

L’Europa federale presuppone un accordo politico per adottare un sistema di governo sovranazionale, che si sovrapponga al Trattato di Maastricht del 1992 e all’introduzione dell’Euro come moneta unica del 2002, “passaggi” tuttavia non determinanti perché inclusero nuovi elementi intergovernativi accanto a quelli più federali, rendendo più difficile definire l’Unione europea. Un’Unione che opera attraverso un sistema ibrido tra l’intergovernativo e il sovranazionale, non é ufficialmente una federazione, sebbene vari osservatori accademici sostengano che essa abbia le caratteristiche di un sistema federale. Mancano ancora molti decisivi passaggi.

Non sarà affatto semplice, né tanto meno facile plasmare uno stato federale, e tuttavia le comuni radici del diritto romano, dell’arte, della cultura laica e delle tradizioni cristiane rappresentano una base essenziale.

Occorreranno anni di transizione, ma l’esperienza internazionale e l’interscambio economico accelereranno il processo di legittimazione dell’Europa nazione con una premiership unitaria, che potrebbe ruotare con lo stesso criterio, solo operativamente più vincolante, della governance del G7.

“Vedendo facendo” è uno dei detti popolari più in voga non a caso a Messina. Certo è che, rispetto ai primi accidentati decenni, l’Europa di domani può già contare, dal clima al trend digitale e culturale, su generazioni molto più coese e armoniche. Una vera Generazione Europa, consapevole che fermarsi sarebbe come tornare indietro e rimandare significherebbe rinunciare al proprio futuro.

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