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Così l’Italia può essere gancio dell’Africa verso l’Ue. L’auspicio di Giro

“È molto importante il sostegno politico dell’Italia a due democrazie che devono resistere in un quadro complesso. Penso agli Stati vicini del Sahel che confinano con questi Paesi in un momento in cui la Francia non può più esercitare la sua influenza e non ci sono altri soggetti. Quindi l’Italia può, non dico sostituirsi, ma in qualche modo rappresentare un aggancio alla democrazie europee”. Intervista all’ex viceministro degli Esteri

Questo è un buon momento per gli africani, perché hanno varie offerte e possono scegliere: ed è quello che stanno facendo senza fare tante distinzioni tra occidente collettivo e Global South. L’ex viceministro degli esteri e presidente di Demos Mario Giro utilizza questa premessa per “raccontare” quale Africa sta incontrando in queste ore il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il viaggio in Ghana e Costa d’Avorio, infatti, è gravido di spunti alla voce energia, cooperazione, relazioni bilaterali e geopolitica. Giro mette l’accento su tre punti principali: il ruolo potenziale dell’Italia in loco, l’intreccio con il Piano Mattei, le azioni di Cina e Russia.

Perché Ghana e Costa d’Avorio sono due Paesi strategici?

Perché sono due Paesi in cui l’Italia ancora non ha allargato la sua presenza con tutto il potenziale che ha. Contemporaneamente si tratta dei due Paesi più interessanti, dal punto di vista economico, dell’area dell’Africa occidentale. Sia in Costa d’Avorio che in Ghana, a parte la questione del petrolio che riguarda entrambi gli Stati, siamo in presenza di due Paesi in cui possiamo e stiamo cominciando a fare varie partnership e joint venture con imprese locali in vari settori, penso per esempio all’agribusiness che già con la Costa d’Avorio è iniziato attraverso una serie di accordi fra imprese italiane e ivoriane.

Come la visita del Capo dello Stato infittisce le relazioni tra Italia e Africa?

Intanto perché la presenza del Capo dello Stato è sempre il migliore biglietto da visita con cui presentare il nostro Paese. In seguito c’è da considerare che con entrambi i Presidenti Mattarella già ha una relazione. Inoltre politicamente è molto importante il sostegno dell’Italia a queste due democrazie che devono resistere in un quadro complesso. Penso agli stati vicini del Sahel confinanti in un momento in cui la Francia non può più esercitare la sua influenza. Mancano altri soggetti e l’Italia può, non dico sostituirsi, ma in qualche modo rappresentare un aggancio alla democrazie europee. Infine c’è da considerare la presenza storica delle nostre Ong ed della società civile italiana: il Presidente visiterà il centro regionale della Comunità di Sant’Egidio ad Abidjan, una realtà molto attiva: è intervenuta nella mediazione del conflitto tra 2000 e 2010 contribuendo alla pacificazione. Sono tutti degli atout per il nostro Paese.

Quale può essere il nesso di questa visita con la strategia del governo italiano legata al Piano Mattei?

Sicuramente la questione energetica. Il Presidente in Costa d’Avorio va a visitare un impianto Eni: si tratta di utilizzare la leva energetica sia dal punto di vista dello sfruttamento della materia prima, che da quello tecnologico, penso alle rinnovabili. L’accesso all’energia è sicuramente un elemento per noi strategico dopo che abbiamo dovuto rinunciare al gas russo. C’è l’esigenza di altre fonti e l’Africa occidentale può esserne parte. Importante il contatto tra le imprese ivoriane, ghanesi e le nostre: all’Italia serve molto esternalizzare. Ricordo che il 30% delle nostre imprese ha internazionalizzato, ora dovremmo raggiungere il 50%. Il motivo? Come già fa la Germania, con la metà delle imprese che esporta e investe all’estero possiamo resistere meglio ai cicli economici e alle crisi del mercato interno. Essendo la seconda potenza manifatturiera d’Europa, dobbiamo raggiungere la Germania anche nella quantità di imprese che si internazionalizzano, che è cosa ben diversa dalla delocalizzazione. Guardando alle ultime crisi, quella finanziaria del 2008 o quella pandemica del 2020, ci rendiamo conto che le imprese internazionalizzate hanno resistito meglio.

Come l’Europa e l’Italia possono riguadagnare terreno in questo fazzoletto di Africa, lì dove Cina e Russia hanno una presenza intensa e ramificata?

Sono vari i livelli di ragionamento che vanno affrontati. In primis non si tratta di un fazzoletto d’Africa, ma di una parte importante dell’Africa occidentale e francofona, dove la crisi della Francia non è stata una buona notizia per noi. Per questo dobbiamo presenziare il territorio con più rapidità, per non lasciare tutto lo spazio ad altre medie potenze o alle altre potenze globali da lei menzionate. Non ci sono molti Paesi europei in grado di svolgere questo tipo di impegno e la nostra economia è adattabile al contesto in questione. Inoltre la presenza russa non è così pervasiva come dice certa stampa anche se i russi hanno una facilità maggiore nel vendere armi in loco senza nessuna condizionalità. In alcuni Paesi africani, soprattutto quelli arabi, vendono anche il grano, cosa molto importante dal punto di vista della sostenibilità alimentare. La Cina è presente dal 2000 e ha molto investito. Alla Cina dobbiamo la corsa all’Africa del nuovo secolo, quindi è grazie alla Cina che sono tornati tutti in Africa, occidentali inclusi. Però in questo momento i cinesi stanno ripensando la loro esposizione, perché hanno elargito molti prestiti e non riescono a recuperare i soldi. In sintesi si può dire che questo è un buon momento per gli africani, perché ricevono varie offerte e possono scegliere: ed è quello che stanno facendo senza fare tante distinzioni tra occidente collettivo e Global South. Badano soprattutto ai loro interessi.

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