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La tecnica del “tappeto rosso” cinese con le aziende non sta funzionando. Arcesati (Merics) spiega perché

Il ministro Tajani ha chiesto a Pechino di assicurare equità nel commercio. Ma “le aziende vogliono vedere riforme strutturali, non retorica o gesti simbolici” come le recenti promesse di Xi, spiega l’analista del think tank tedesco. Da presidente del G7, l’Italia ha l’occasione di essere leader sul de-risking, aggiunge

“Il principio da rispettare è, per la Cina come per altri investitori internazionali, quello del level playing field”, ovvero la parità di condizioni, ha spiegato Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, a MF-Milano Finanza parlando della due giorni di eventi pensata per rilanciare il partenariato strategico globale dopo il mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative (la cosiddetta Via della Seta). Ieri a Venezia, lui e Wang Wentao, ministro del Commercio cinese, hanno celebrato i 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo. Poi hanno presieduto assieme la Commissione economica mista Italia-Cina a Verona. Sempre nella città scaligera – guidata dal sindaco Damiano Tommasi, ex calciatore con un trascorso anche nel Tianjin Jinmen Tiger (allora era Tianjin Teda), squadra di proprietà dal gigante statale cinese Teda Holding – oggi i due ministri hanno aperto il business forum bilaterale con focus su quattro settori strategici (agritech; e-commerce; investimenti; farmaceutico e biomedicale).

Ne parliamo con Rebecca Arcesati, lead analyst del think tank Mercator Institute for China Studies di Berlino.

Quanto sono credibili le recenti promesse di apertura commerciale da parte del governo cinese?

Il governo cinese sta cercando da mesi di stendere il “tappeto rosso” per le aziende straniere, considerato che gli investimenti esteri in Cina sono ai minimi nello storico degli ultimi decenni. Al China Development Forum, un appuntamento annuale tenutosi a fine marzo, il premier Li Qiang ha promesso una maggiore apertura e riforme nell’ambito di politiche economiche, sviluppo urbano e industriale, e supporto alla transizione verde delle imprese. Inoltre, abbiamo visto un documento in 23 punti colmo di promesse rispetto a una liberalizzazione economica a favore degli investitori internazionali, il secondo tentativo di Pechino nell’arco di appena sette mesi.

Tradotto?

La tecnica del “tappeto rosso” non sta funzionando. Le aziende vogliono vedere riforme strutturali, non retorica o gesti simbolici. Nonostante il recente allentamento della regolamentazione in materia di esportazione dei dati dalla Cina sia significativo, i leader cinesi sembrano restii ad attuare le riforme strutturali che sarebbero necessarie per risollevare le sorti di un’economia in difficoltà. Il focus di Xi Jinping è sulla sicurezza nazionale, il che passa anche attraverso il raggiungimento di una crescente autosufficienza in vari comparti tecnologici e industriali. E per Xi, ormai è chiaro, la sicurezza ha l’assoluta precedenza sulle riforme in ambito economico e sociale.

Pechino sta accusando la Commissione europea di aver intrapreso operazioni “che ci lasciano perplessi”, per citare Wang oggi. Il riferimento è alle indagini sui sussidi del governo alle aziende cinesi. Ciò “può minare la fiducia nella cooperazione da parte della aziende cinesi”, ha detto il ministro cinese oggi. Poi, rivolto agli imprenditori, ha chiesto di lavorare assieme “per opporci all’unilateralismo e al protezionismo”. Pechino sta provando a fare leva sull’imprenditoria italiana ed europea per convincere i governi ad abbandonare il de-risking?

Certamente. È normale che Pechino non gradisca che l’Unione europea si stia muovendo nei confronti delle decennali pratiche distorsive delle proprie politiche industriali e commerciali. Parlare alle aziende, che naturalmente sono spesso avverse all’interpretazione governativa del de-risking – ovvero, la mitigazione dei rischi che sta alla base della strategia della Commissione sulla sicurezza economica –, può essere utile. Con le aziende tedesche ha funzionato benissimo per decenni, ed ecco che ci troviamo in una situazione in cui buona parte della grande industria tedesca si mette di traverso mentre il governo cerca di ridurre i palesi rischi sistemici derivanti da un’eccessiva dipendenza della Germania dalla Cina.

Come si sta muovendo la Commissione europea?

La Commissione ha compreso di trovarsi in un momento propizio per utilizzare i propri strumenti difensivi nei confronti della crescente sovracapacità cinese in vari settori strategici, per esempio i veicoli elettrici. Quando Xi parla di “nuove forze produttive,” intende proprio quei settori in grado di trainare la crescita economica dei prossimi decenni. La Cina, che ci piaccia o no, è enormemente competitiva nelle tecnologie verdi, e non soltanto grazie ai sussidi statali. Dunque, dato che una grande redistribuzione delle risorse a favore dei cittadini cinesi, che stimolerebbe i consumi interni, sembra fuori discussione, il possibile motore di crescita per l’economia cinese nei prossimi anni risulta chiaro: le esportazioni.

Si può fare la transizione verde senza la Cina?

Una transizione verde non è pensabile senza la cooperazione, anche sul piano tecnologico e industriale, con la Cina. Ma ovviamente l’Unione europea non poteva starsene con le mani in mano di fronte alle massicce distorsioni causate da un’economia a traino statale, con il governo che punta al dominio delle catene del valore. Siamo solo all’inizio. Non è protezionismo. I sussidi europei all’industria non sono neanche remotamente paragonabili a quelli cinesi.

Come dovrebbe agire l’Italia da presidente del G7 nei confronti della Cina?

Penso che il governo Meloni, che per molti versi ha continuato l’agenda Draghi in materia di sicurezza economica, stia andando nella giusta direzione. Sono rimasta un po’ confusa da alcuni commenti che ho letto rispetto al business forum dei giorni scorsi. De-risking certamente non significa interrompere i rapporti commerciali con la seconda economia mondiale, sarebbe folle anche solo pensarlo. I forum dedicati alle imprese e alla cooperazione con la Cina sono ordinaria amministrazione per le economie del G7. L’opportunità che l’Italia si trova a gestire è quella di imprimere una sua leadership all’implementazione del concetto di de-risking, ovvero la massimizzazione della resilienza attraverso la diversificazione, nonché la protezione di asset strategici. Dall’approvvigionamento delle materie prime allo sviluppo e uso sicuro di tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, c’è parecchio lavoro da fare. Lavoro che passa anche attraverso l’individuazione di aree in cui la cooperazione con la Cina sia possibile, in maniera appunto sicura e attenta alla gestione dei rischi per la sicurezza nazionale e la competitività dell’economia italiana nel lungo periodo.

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